Solo pochi giorni fa la presentazione ufficiale della strategia del governo per la transizione verso un’economia circolare. Tra qualche settimana, si spera, la definitiva approvazione del pacchetto europeo di nuove misure in materia. Il fronte della circular economy insomma non è mai stato così caldo. In Italia però, a raffreddare gli animi, ci pensa la burocrazia. Due i casi emblematici, diversi tra loro eppure accomunati da una stessa matrice: il pantano delle carte bollate nel quale rischia di affogare il comparto del recupero rifiuti. Con i cittadini che, a loro volta, rischiano di rimanerne sepolti.
Stando a quanto denunciato oggi dal consorzio Coreve, il consorzio recupero vetro afferente al sistema Conai, la filiera meridionale del riciclo sarebbe infatti a rischio paralisi. Cosa che, secondo il consorzio, provocherebbe a sua volta lo stop della raccolta differenziata del vetro in ben 788 Comuni del Centro-Sud, tra i quali Roma, Napoli e altri dieci capoluoghi, per un totale di 10,3 milioni di abitanti coinvolti. Alla base del problema, il consorzio cita l’aumento straordinario dei consumi durante il periodo estivo (fino al 25% in diverse regioni del Sud) ed il parallelo incremento delle raccolte differenziate (nell’intero Lazio del 12,3%, in Basilicata +46,1%, in Calabria +22,9%, in Campania +10%, in Puglia +12,3%). Flussi extra di rifiuti che rischiano di non trovare collocazione, visto che al momento il Mezzogiorno è servito da un solo impianto di riciclo. E quell’impianto, a meno di un intervento tempestivo, non potrà riceverli. Perchè? Questione di carte bollate, appunto.
«Abbiamo inviato ufficialmente una nuova richiesta d’intervento al ministro dell’Ambiente e ai presidenti della Regione Lazio e della Provincia di Frosinone affinché affrontino la situazione, se del caso anche esercitando i poteri di urgenza previsti dal Testo Unico Ambientale, per superare l’impasse del Settore Ambiente della Provincia di Frosinone – spiega Franco Grisan, presidente di Coreve, autore già nei giorni scorsi di un appello sulla vicenda – in quanto sussiste il rischio concreto che dalla prossima settimana e per tutto il mese di dicembre l’impianto della Società Vetreco, con sede in provincia di Frosinone, non possa più ricevere i rifiuti di imballaggi in vetro da recuperare ed avviare a riciclo. A seguito di verifiche fatte – sottolinea – abbiamo constatato che nel Centro-Sud non esistono impianti in grado di assorbire le tonnellate che l’impianto Vetreco non tratterebbe in caso di blocco».
La Vetreco era stata infatti autorizzata a trattare 400mila tonnellate di rifiuti da imballaggi in vetro all’anno, con una capacità di lavorazione di 217.500 tonnellate all’anno. Basterebbe insomma una semplice variazione della capacità di lavorazione nell’ambito delle quantità già autorizzate a sciogliere l’impasse. Dagli uffici del Settore Ambiente della Provincia di Frosinone, però, nessuna risposta. «Può una mera questione burocratica creare una situazione di effettiva emergenza ambientale e sanitaria nelle città di Roma, Napoli, in altri dieci capoluoghi di Provincia e in innumerevoli Comuni? – chiede Grisan – ci troviamo di fronte all’ennesimo esempio di impasse dovuto alla gestione delle carte, che rischia però di bloccare il sistema in metà Paese».
In materia di rifiuti, però, l’inerzia della burocrazia non è solo una classica “questione meridionale”. Per constatarlo basta spostarsi in Veneto, dove l’impianto sperimentale di recupero materia dai prodotti assorbenti costruito dal consorzio Contarina in partnership con Fater a Lovadina di Spresiano, in provincia di Treviso, è fermo al palo. L’impianto, tuttora l’unico al mondo nel suo genere, capace di trasformare una tonnellata di prodotti assorbenti usati (come i pannolini, vero e proprio simbolo dell’usa e getta) in 350kg di cellulosa e 150kg di plastica, era stato inaugurato nel 2015, ma ad agosto 2016, con delibera di giunta, Regione Veneto decide di non concedere a Contarina l’autorizzazione ordinaria al riciclo, richiesta ad ottobre 2015 dalla società pubblica. Recependo un parere sulla vicenda reso a giugno 2016 dalla Commissione tecnica regionale sezione Ambiente, la giunta sosteneva infatti di non avere «titolo per definire nuove materie prime seconde o di definire, caso per caso, i criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto di materiali non ricompresi negli specifici regolamenti europei o in decreti del Ministero dell’Ambiente».
I criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto, meglio noti come “End of Waste”, sono i parametri che stabiliscono quando i materiali esitanti dal processo produttivo possano essere considerati “fine rifiuto”, cioè materia prima seconda tout-court. Se un impianto di riciclo non è autorizzato “End of Waste”, ciò che viene fuori dal processo resta un rifiuto. E tanti saluti all’economia circolare. Chi stabilisce i criteri? I parametri dovrebbero essere messi a punto dall’Ue con appositi regolamenti o dal Ministero dell’Ambiente con decreto. Ed è per questo che Regione Veneto sostiene di non avere «titolo» in materia. Vero?
Falso, come stabilito a dicembre 2016 dalla terza sezione del Tar del Veneto, nella sentenza emanata a valle di un ricorso proposto da Contarina, nella quale si cita, tra l’altro, la circolare 10045 diramata dal Ministero dell’Ambiente il primo luglio 2016, un mese prima cioè della delibera di giunta incriminata, che aveva ricordato proprio come «in via residuale, le Regioni – o gli enti da queste individuati – possono, in sede di rilascio dell’autorizzazione prevista agli articoli 208, 209 e 211, e quindi anche in regime di autorizzazione integrata ambientale (Aia), definire criteri End of Waste previo riscontro della sussistenza delle condizioni indicate al comma I dell’articolo 184-ter, rispetto a rifiuti che non sono stati oggetto di regolamentazione dei succitati regolamenti comunitari o decreti ministeriali».
Ad oggi, però, quell’autorizzazione non è ancora stata rilasciata. Il caso Contarina, nel frattempo, ha suscitato tanto clamore da costringere il Ministero dell’Ambiente a mettere a punto un decreto “End of Waste” ad hoc proprio per i materiali derivanti dal riciclo dei pannolini usati. Decreto che, stando a quanto comunicato nei giorni scorsi dal ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti nel corso di un’audizione alla Camera dei Deputati, «è in discussione con i tecnici dell’Ispra e andrà a Bruxelles entro la fine dell’anno». Speriamo, anche perchè, come sottolineato dall’On. Ermete Realacci, presidente della commissione ambiente della Camera, c’è il rischio che «dall’essere i primi al mondo che fanno un’esperienza, finiamo per essere quelli che non riescono a sfruttarla».