Nel 2022 il tasso di recupero dei veicoli a fine vita in Italia si è attestato all’86%, dieci punti al di sotto dell’obiettivo Ue e meglio solo di Malta. Pesa il mancato recupero energetico del ‘car fluff’. I frantumatori: “Case auto contribuiscano a sostenere i costi”, ma la crisi del settore getta un’ombra sul nuovo regolamento europeo
Italia penultima della classe in materia di recupero dei veicoli a fine vita. Peggio di tutti quanti gli altri Stati dell’Ue e meglio della sola Malta. Lo certificano gli ultimi dati di Eurostat, stando ai quali nel 2022 il nostro Paese ha gestito 797 mila veicoli dismessi, avviandone a riciclo o riutilizzo l’86% in peso, al di sopra dell’obiettivo vincolante dell’85%, ma fermandosi di fatto alla stessa percentuale per quanto riguarda l’avvio a recupero complessivo. Che include anche il recupero energetico e che secondo l’Ue dovrebbe toccare almeno il 95%. Target dal quale restiamo lontani di quasi dieci punti percentuali, facendo meglio, appunto, solo di Malta, che si ferma invece all’84%. Nel frattempo, riporta sempre Eurostat, su un totale di 4,6 milioni di veicoli trattati per un peso di 5,5 milioni di tonnellate, la media Ue si è attestata all’89,1% di riutilizzo e riciclo e al 94,4% di recupero. Segno che non è solo l’Italia a mancare il target sul recupero (indietro anche la Germania con il suo 93,7%), ma sta di fatto che insieme a Grecia (88,5%) e Malta, siamo gli unici a non raggiungere nemmeno il 90%.
Un ritardo, quello sul target di recupero, che i dati di Eurostat certificano ormai da quasi dieci anni, da quando cioè nel 2015 l’obiettivo è divenuto vincolante. “I dati sono relativi al 2022, ma tutto fa pensare che resteranno immutati anche nel 2023 o nel 2024”, spiega a Ricicla.tv Stefano Leoni, presidente dell’associazione italiana dei frantumatori di auto AIRA. Per questo è legittimo aspettarsi che dopo l’apertura di una procedura d’infrazione per il mancato raggiungimento dei target obbligatori di riciclo dei rifiuti urbani e di raccolta dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, le inadempienze del nostro paese in materia di recupero dei veicoli a fine vita possano finire presto nel mirino di Bruxelles.
Il nodo, chiarisce Leoni, “resta la gestione del cosiddetto ‘car fluff’“, ovvero il residuo eterogeneo della frantumazione dei veicoli, costituito soprattutto da gomme e plastiche contenute nei componenti non rimossi in fase di demolizione, come paraurti, cruscotti, cavi o imbottiture. Nonostante l’elevato potere calorifico lo renda adatto al recupero energetico diretto negli inceneritori o alla produzione di combustibile da rifiuti, la limitata disponibilità di spazi negli impianti italiani e gli alti costi di conferimento spingono i frantumatori a ricorrere quasi esclusivamente al più economico smaltimento in discarica. Secondo ISPRA nel 2022 sono state gestite così oltre 162mila delle quasi 200mila tonnellate di ‘car fluff’ generato dagli impianti di frantumazione. Per scongiurare l’apertura di una procedura d’infrazione, posta la complessità di realizzare nuovi impianti di recupero energetico nel breve periodo, tocca trovare percorsi alternativi.
“Il problema è annoso – ammette il presidente di AIRA – una soluzione potrebbe essere quella di far ricadere i costi di trattamento a monte della frantumazione” ovvero sulla fase di demolizione, obbligando quindi gli operatori a “una pura, completa e corretta separazione delle parti non metalliche. Ma sarebbe una guerra tra poveri” dice Leoni. Al momento, infatti, il quadro normativo prevede che i costi di trattamento dei veicoli a fine vita debbano essere coperti dagli stessi operatori con le marginalità realizzate dalla vendita dei materiali riciclabili e pezzi di ricambio. Condizione sempre più difficile da garantire, alla luce della crescente volatilità dei valori di mercato che minaccia la sostenibilità economica dei trattamenti. Questo spiega anche perché il ‘car fluff’ generato in Italia non venga esportato verso impianti di recupero degli altri paesi Ue ma smaltito in discarica, soluzione tipicamente più economica. In un contesto simile, spiega Leoni, l’unica strada percorribile resta quella di “includere gli ulteriori costi in un nuovo regime che preveda la partecipazione dei produttori“.
Per questo gli operatori del recupero – non solo i frantumatori ma anche demolitori e rottamatori – guardano con interesse alla ripresa dei lavori di Consiglio e Parlamento Ue sulla proposta di regolamento sui veicoli a fine vita presentata dalla Commissione a luglio 2023 con l’obiettivo di aumentare la circolarità del settore automotive. Nelle intenzioni di Bruxelles il regolamento darà alle case auto un ruolo più centrale, rafforzando il principio della responsabilità estesa e attribuendo ai produttori il compito di raggiungere i target vincolanti di riciclo e recupero oggi in capo agli Stati membri. Obiettivi che le case auto dovranno perseguire migliorando la progettazione dei propri veicoli ma anche contribuendo economicamente al corretto funzionamento della filiera del fine vita. Un contributo che gli operatori della frantumazione auspicano possa coprire, tra gli altri, anche i maggiori oneri per l’avvio a recupero energetico del ‘car fluff’.
Ma le case auto frenano. “Il semplice fatto di affermare che i produttori dovranno pagare i costi porterà a una riduzione degli investimenti in innovazione da parte degli impianti di trattamento, inefficienza e, in definitiva, maggiori costi al consumo”, mentre “dovrebbe essere chiarito che solo gli operatori di gestione dei rifiuti contrattualizzati hanno diritto a richiedere il compenso dei deficit da parte dei produttori”, si legge in un paper diffuso nelle scorse settimane dall’associazione europea ACEA. Le posizioni, insomma, restano distanti e, in questa fase, la crisi dell’industria europea dell’auto e il clima di incertezza che avvolge il futuro del settore, soprattutto sul fronte dell’elettrificazione, di certo non facilitano il raggiungimento di un’intesa. “Nel confronto con i produttori, tanto più in questo contesto, noi operatori del fine vita restiamo la parte più debole – ammette Leoni – ma continueremo a lavorare perché il regolamento contribuisca a migliorare le performance ambientali della filiera. Sulla responsabilità estesa, nello specifico, chiediamo che siano definiti con chiarezza i ruoli, che i sistemi restino ‘no profit’ e, soprattutto, che siano progettati per reagire alle fluttuazioni del mercato”.