“Senza impianti di digestione anaerobica e senza inceneritori non si chiude il ciclo dei rifiuti e non si potranno raggiungere i target UE”. A dichiararlo è Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia, in occasione della presentazione del Rapporto sul recupero energetico da rifiuti, curato dalla federazione delle utility in collaborazione con l’Istituto superiore di protezione ambientale.”L’Unione europea impone di scendere entro il 2035 sotto al 10% della spazzatura in discarica, mentre oggi in Italia siamo al 23% – spiega Brandolini – serve una strategia nazionale per definire i fabbisogni che operi un riequilibrio a livello territoriale, in modo da limitare il trasporto fra diverse regioni e le esportazioni, abbattendo le emissioni di CO2″generate dal trasporto.
Già, perché come spiega il rapporto, sebbene nel nostro Paese nel 2017 fossero operativi 55 impianti di digestione anaerobica dei rifiuti organici, 87 di digestione anaerobica dei fanghi di depurazione e 39 inceneritori con recupero di energia, capaci di produrre 7,6 milioni di MWh di energia – un quantitativo in grado di soddisfare il fabbisogno di circa 2,8 milioni di famiglie – gli impianti sono quasi tutti al Nord mentre nelle regioni del Mezzogiorno, si registra una netta carenza impiantistica. Cosa che costringe le amministrazioni del Sud a “spedire” il proprio pattume verso gli impianti del Nord, con costi elevatissimi a carico della collettività sia in termini di emissioni che di tariffe.
E a proposito di tariffe, secondo lo studio, dei 39 impianti di incenerimento operativi nel 2017, 21 usufruivano dei meccanismi di incentivazione per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Le forme di incentivazione più diffuse sono il CIP 6, presente complessivamente in 7 impianti, che però verranno ad annullarsi del tutto a ridosso del 2020. Secondo i dati del GSE, si legge, quella prodotta dai rifiuti rappresenta meno dello 0,5% del totale dell’energia incentivata in Italia, senza dimenticare che i proventi per la cessione di energia elettrica vanno a ridurre i costi sulla base dei quali si determinano le tariffe a carico dei cittadini.
Stando a quanto si legge nel dossier, “Il 100% dell’energia prodotta dagli impianti di digestione anaerobica ed il 51% di quella prodotta dagli inceneritori è rinnovabile”. E se il recupero di energia mediante digestione anaerobica con la produzione di biometano “ha un ruolo sostanziale nel contrasto alle emissioni climalteranti e nella diminuzione del consumo di combustibili di origine fossile”, il recupero tramite incenerimento invece “fornisce un contributo insostituibile per il recupero della quantità di energia intrinsecamente contenuta in materiali il cui riciclaggio risulta non praticabile per motivi ambientali, tecnici o economici”. Insomma, dicono gli autori del rapporto, il recupero energetico dei rifiuti, compresi gli scarti non riciclabili della raccolta differenziata, non penalizza i modelli virtuosi di gestione dei rifiuti ma piuttosto li integra, soprattutto alla luce degli ambiziosi target di abbattimento dei conferimenti in discarica fissati dal pacchetto di misure sull’economia circolare.