Altro che semplificazione e incentivi al riuso: i piccoli cantieri potrebbero trovarsi costretti a mandare in discarica il materiale di risulta dei lavori di scavo. Sarebbe solo una delle conseguenze negative dell’attuale formulazione dell’atto governativo all’esame delle Commissioni competenti in Parlamento sulla semplificazione in materia di terre e rocce da scavo stando alle valutazioni dell’Ance. L’Associazione Nazionale Costruttori Edili, infatti, nei giorni scorsi è stata audita dalla Commissione Ambiente di Palazzo Madama, dove ha depositato una serie di osservazioni sul Dpr che ha già avuto il primo via libera da parte del Consiglio dei Ministri.
Secondo l’Ance, infatti, le nuove norme sarebbero decisamente più gravose per le piccole opere, in quanto bisognerà presentare una documentazione ancor più fitta. Inoltre il nuovo assetto rischia di diventare un serio problema per quelle aree del paese dove la concentrazione di sostanze inquinanti naturali è più presente per mere questioni orografiche: in particolare Piemonte, Toscana, Liguria, Veneto, Sardegna e Sicilia.
Lo schema di Dpr all’articolo 20, infatti, per i piccoli cantieri prevede le stesse procedure da applicarsi alle opere di rilevantissima entità, «con i relativi tempi e costi a carico degli operatori» si legge nelle documentazione, col risultato che «per gran parte dei cantieri si tornerà a smaltire il materiale come rifiuto anziché riutilizzarlo, con la presumibile saturazione delle discariche ed il quasi certo incremento delle attività di smaltimento illecite». I costi si gonfierebbero, ma anche i tempi: il preavviso per l’inizio dei lavori, infatti, passerebbe da 15 giorni ad almeno sei mesi.
Ad essere eccessivamente stringenti, per l’Ance, sono proprio le limitazioni alla gestione di terre e rocce quali sottoprodotti. Classificazione inapplicabile per quei materiali provenienti da siti nei quali il livello di inquinanti nel fondo naturale del terreno è superiore ai limiti di legge. Una limitazione non in linea con le possibilità già riconosciute dai precedenti interventi del legislatore che ai piccoli cantieri aveva permesso di operare senza l’estensione dovuta ai grandi progetti sottoposti a Via/Aia, giacché agiva su «situazioni già note sia alle Arpa locali che ai Comuni» scrive l’Ance.
Nello stesso ciclo di audizioni, dura bocciatura anche da parte di Autostrade per l’Italia, che ha denunciato: «Come spesso succede in Italia, un provvedimento che doveva chiarire, semplificare e sbloccare, si avvia in una direzione completamente opposta». Il riferimento è, tra le altre cose, al troppo restrittivo “tetto amianto” posto dalla normativa, la cui riduzione da 1000 a 100 mg/Kg è definita una “assurdità tecnico-scientifica” in quanto «si pretende di applicare al sasso (matrice solida) delle limitazioni che non sono correlate in alcun modo con l’effettivo rischio sanitario, mentre sono assolutamente corrette le limitazioni, già previste oggi dalla normativa, sulle fibre di amianto aerodisperse in ambiente». Un limite che diventerebbe difficilmente misurabile e che, fa notare Autostrade, porterebbe al blocco dei lavori in quei contesti ad alta concentrazione naturale e a costi insostenibili per lo smaltimento oltreconfine dove, di fatto, finirebbero per riutilizzare quei materiali e non per smaltirli. L’auspicio della società è che nei pareri da riportare al Consiglio dei Ministri per emendare il testo del decreto si tenga conto dei lavori che il dispositivo piuttosto che sbloccare finirebbe per congelare, a partire da quei cantieri che già hanno ottenuto l’approvazione dei rispettivi Piani di Utilizzo e la cui tutela è considerata addirittura “vitale”.