Una nuova sentenza del TAR Lombardia, la seconda in meno di una settimana, torna a stabilire l’annullamento del sistema di tariffe al cancello per gli impianti di gestione dei rifiuti urbani lanciato nel 2021 da ARERA. Nell’attesa dell’eventuale ricorso in appello, lo sguardo è diretto al Ministero dell’Ambiente. Che potrebbe dover cambiare il Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti
È quasi una sentenza fotocopia quella con la quale nella giornata di ieri il TAR della Lombardia è tornato a bacchettare l’autorità di regolazione ARERA, dopo il pronunciamento che meno di una settimana fa aveva stabilito l’annullamento del sistema di tariffe al cancello per gli impianti di gestione dei rifiuti urbani. Uguale la regione al centro della controversia, la Puglia, uguale la sostanza del provvedimento: non è prerogativa dell’ARERA o delle regioni individuare gli impianti ‘minimi’, ovvero indispensabili alla chiusura del ciclo, né tanto meno sottrarli al mercato e assoggettarli al regime di flussi prestabiliti e tariffe concordate introdotto nel 2021 dall’authority. A cambiare è solo l’impresa ricorrente, che stavolta non gestisce una discarica ma un impianto di recupero dei rifiuti organici in provincia di Bari. Un dettaglio non di poco conto: è l’intero mondo degli operatori privati dei rifiuti, indipendentemente dalla tipologia di attività svolta, ad aver messo sotto accusa il sistema di ARERA. E a trovare sponda nei pronunciamenti dei giudici del tribunale amministrativo di Milano. Oltre che in una precedente sentenza del TAR Emilia-Romagna e prima ancora nei rilievi dell’antitrust.
La sostanza, si diceva, non cambia. Il sistema di ‘gate fee’ lanciato nell’ambito del secondo periodo regolatorio, ribadiscono i giudici, deve essere annullato perché non solo “non appare riconducibile alle funzioni attribuite all’autorità” ma in più “ha attribuito, di fatto, alle Regioni poteri che il legislatore statale non ha, recta via, assegnato agli enti regionali – precisano i giudici – traslando quanto dovrebbe essere definito in sede nazionale in un ambito locale in piena violazione delle competenze dello Stato”. L’individuazione degli ‘impianti minimi’, e quindi di conseguenza anche l’indicazione dei fabbisogni minimi di trattamento da soddisfare, è una prerogativa dello Stato, e nello specifico del Ministero dell’Ambiente, che avrebbe dovuto esercitarla nell’ambito dell’adozione del Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti. Solo a quel punto “l’ARERA avrebbe potuto (e dovuto) disciplinare l’ambito tariffario, secondo la competenza che le è attribuita dall’ordinamento” si legge nella sentenza.
Nell’attesa di conoscere gli sviluppi della controversia, che con ogni probabilità finirà sul tavolo del Consiglio di Stato, gli sguardi degli operatori di settore sono tutti rivolti al Ministero dell’Ambiente. Se anche il secondo grado di giudizio dovesse dare ragione alle imprese (o nel caso in cui ARERA decidesse di non ricorrere in appello), il dicastero di Via Cristoforo Colombo si vedrebbe infatti costretto ad aggiornare il Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti secondo le indicazioni dei giudici amministrativi, ovvero indicando i criteri di identificazione degli impianti ‘minimi’, indispensabili alla chiusura dei cicli regionali di gestione dei rifiuti urbani. Cosa che, di conseguenza, significherebbe esplicitare gli eventuali fabbisogni impiantistici da colmare a livello territoriale, visto che in presenza di un mercato fisiologicamente in grado di dare risposta alle esigenze locali di trattamento non avrebbe senso l’individuazione di impianti ‘minimi’ da sottrarre al regime concorrenziale. Un lavoro di ricognizione che nei mesi scorsi era stato sollecitato da più parti e che secondo molti avrebbe dovuto essere messo nero su bianco con chiarezza prima dell’erogazione dei 2,1 miliardi di euro che il PNRR ha destinato alla realizzazione di nuovi impianti di trattamento, per evitare distorsioni di mercato. Soprattutto sul fronte degli impianti per la frazione organica dei rifiuti urbani. Un pericolo reale, nota l’economista e ceo di Althesys Alessandro Marangoni, secondo cui con il PNRR “si rischia di generare overcapacity nella forsu in alcune aree del Paese”.
Proprio in tema di ricognizione dei fabbisogni impiantistici le due sentenze del TAR Lombardia paiono pienamente in linea con un altro pronunciamento recente, stavolta del TAR Lazio, che in una sentenza dello scorso aprile aveva chiesto al governo di emanare un nuovo decreto attuativo dell’articolo 35 del cosiddetto decreto legge ‘Sblocca Italia’, verificando regione per regione la capacità di incenerimento dei rifiuti urbani e indicando, laddove necessario, quali e quanti impianti realizzare per soddisfare il fabbisogno di recupero energetico residuo. La sentenza concedeva al governo e al Ministero dell’Ambiente un termine di 180 giorni per adottare il decreto, scaduto il quale sarebbe stato nominato “quale Commissario ad acta il Capo di Gabinetto del Ministero della Transizione Ecologica” (ora Ministero dell’Ambiente, ndr) per ottemperare alla sentenza nel termine ulteriore di 90 giorni. Il primo termine è già scaduto. Il secondo scadrà il prossimo 21 aprile.