Non segnalati gli 8 gli emendamenti alla legge di conversione del decreto “milleproroghe” con la richiesta di posticipare di sei mesi o addirittura di un anno l’applicazione della nuova disciplina sulla classificazione dei rifiuti. Allarme dei comuni: «Rischio rincari sulla Tari per i cittadini»
Il Parlamento non valuterà il rinvio dell’entrata in vigore della nuova classificazione dei rifiuti. Erano ben 8 gli emendamenti alla legge di conversione del decreto “milleproroghe” presentati alla Camera con la richiesta di posticiparne l’applicazione di sei mesi o addirittura di un anno, nessuno dei quali però risulta tra quelli segnalati per essere messi ai voti. Resta dunque in vigore la nuova disciplina operativa dallo scorso 1 gennaio, introdotta dal decreto legislativo 116 del 2020, che recepisce le direttive europee su rifiuti e imballaggi contenute nel pacchetto economia circolare e ridefinisce il perimetro dei rifiuti speciali e di quelli urbani, facendo rientrare tra questi ultimi un lungo elenco di rifiuti prodotti da attività commerciali e artigianali simili per qualità agli urbani. Quei rifiuti che un tempo erano speciali “assimilati” o “assimilabili” e che oggi invece diventano rifiuti urbani tout-court, pur restando (proprio com’era per gli “assimilabili”) sul libero mercato. Una piccola rivoluzione copernicana, accompagnata però da difficoltà interpretative e applicative a ogni livello della filiera.
Tant’è che gli emendamenti al “milleproroghe” presentati nelle Commissioni riunite affari costituzionali e bilancio della Camera portavano le firme di esponenti dell’intero arco parlamentare. La richiesta di proroga al 1 giugno 2021, ad esempio, era stata presentata sia dal M5S che da Fratelli d’Italia, ma anche da Lega e Italia Viva, a sottolineare quanto la questione esuli da logiche di mera appartenenza politica, coinvolgendo in maniera trasversale molti degli attori del sistema nazionale di gestione dei rifiuti. A cominciare dai comuni, tra i primi a lanciare l’appello per una proroga della nuova classificazione, soprattutto al fine, dicono, di sciogliere i nodi relativi alla possibilità per le utenze non domestiche di “uscire” dal servizio pubblico per la gestione dei loro rifiuti, sebbene urbani, e di ottenere riduzioni della Tari se dimostrano di averli avviati a recupero.
Sul punto, secondo Anci, la nuova disciplina è poco chiara e senza indicazioni di dettaglio che permettano di rispettare la scadenza fissata al 30 aprile per la revisione dei regolamenti Tari, rischia di tradursi in un’autentica emorragia: «Molte attività economiche stanno inviando comunicazioni di uscita dal servizio pubblico agli uffici comunali – rivela l’Associazione – che nella maggior parte dei casi non sono corredate dalla necessaria documentazione che attesti l’effettivo avvio a recupero». «Se la norma non viene correttamente interpretata e regolata – spiega Walter Giacetti, consulente Ifel – c’è il rischio che si generi un aumento tariffario per tutte le altre utenze che rimangono nel perimetro del servizio pubblico». Serve più tempo, dicono i comuni, per stabilire con chiarezza quando e come le utenze non domestiche possano uscire dal servizio pubblico, ma anche per fissare i parametri in base ai quali applicare le riduzioni tariffarie previste dal legislatore. Riduzioni che, ha chiarito il MEF nei giorni scorsi, dovranno riguardare la sola parte variabile del tributo, mentre la quota fissa resterà dovuta, indipendentemente dalla modalità di gestione che il produttore deciderà di sposare.
E a proposito di produttori è necessario ricordare come l’appello per la proroga della nuova classificazione fosse stato sottoscritto anche dalle associazioni delle piccole e medie imprese, che ancora oggi chiedono l’istituzione di un tavolo di confronto tra portatori d’interesse, per mettere in piedi un sistema di norme coerente che non pregiudichi l’efficace gestione dei nuovi rifiuti urbani e che soprattutto garantisca alle imprese l’accesso al libero mercato per il loro avvio a recupero. «Se è vero che a monte è stata chiarita bene nero su bianco la possibilità per le imprese di continuare a gestire i loro rifiuti al di fuori del servizio pubblico – dice Barbara Gatto, responsabile green economy della Cna – il problema è che molte delle problematiche interpretative e applicative che si accompagnano alla nuova disciplina rischiano di rappresentare un ostacolo a questa scelta». Sfumata almeno per il momento l’potesi di un rinvio della disciplina, non resta che attendere i chiarimenti annunciati entro la fine di febbraio dal Ministero dell’Ambiente, nella speranza che possano servire a mettere ordine in un caos che rischia di penalizzare cittadini e imprese.