Rifiuti tessili, la Commissione punta a chiudere la revisione della direttiva entro dicembre

di Luigi Palumbo 27/09/2024

Al via i triloghi sulla revisione della direttiva quadro rifiuti. Riflettori puntati sulla proposta di introdurre la responsabilità estesa del produttore nel settore dell’abbigliamento e del tessile. La Commissione punta a chiudere entro dicembre, anche per rispondere agli appelli degli operatori del riutilizzo e del riciclo


Completato, non senza ritardo, il rinnovo delle istituzioni europee, delle commissioni parlamentari e delle deleghe ai relatori, ripartono i lavori sui dossier lasciati in eredità dalla precedente legislatura. Sul fronte dell’economia circolare riflettori puntati verso l’imminente avvio dei negoziati sulla proposta di revisione della direttiva quadro rifiuti, presentata a luglio 2023 dalla Commissione Ue. “Il trilogo con i co-legislatori dovrebbe iniziare a ottobre e la speranza è di terminare entro la fine dell’anno ma al momento non ci sono ancora date certe” ha rivelato Vincenzo Gente, membro della direzione ambiente della Commissione, in occasione di un webinar organizzato dal consorzio Erion Textile per fare luce sugli effetti di uno dei due focus della riforma, che accanto alla lotta allo spreco alimentare metterà al centro il tema dei rifiuti tessili. Che secondo la European Environment Agency solo per il 12%, vengono intercettati dai sistemi di raccolta istituiti negli Stati membri e avviati a riuso o riciclo.

“Gli elementi principali della proposta della Commissione – ha ricordato Gente – sono la definizione di regole generali per la responsabilità estesa del produttore e per la gestione dei rifiuti tessili”. È il primo elemento a rappresentare la novità assoluta della proposta di Bruxelles, ed è anche quello al quale l’industria europea dell’abbigliamento, incluse le imprese e le organizzazioni attive sul fronte del riutilizzo e del riciclo, guardano con maggiore interesse. Non solo: in ballo c’è anche lo schema di regolamento nazionale proposto dal Ministero dell’Ambiente. Che però, con ogni probabilità, aspetterà di conoscere le posizioni dell’Ue prima di concludere il percorso.

“Il tentativo è di armonizzare le regole a livello europeo – ha spiegato infatti Gente – vogliamo che i produttori siano responsabili dell’intero ciclo di vita dei prodotti che immettono sul mercato. Dovranno coprire i costi di raccolta e gestione dei rifiuti, ma anche contribuire allo sviluppo e alla ricerca e alla comunicazione”. I costi saranno coperti dai contributi versati per ogni capo immesso sul mercato (l’elenco è vasto e va dai capi d’abbigliamento ai tessili per la casa), definiti dalle organizzazioni di responsabilità estesa (sistemi PRO, nell’acronimo inglese, o EPR in italiano) sulla base del peso ed “ecomodulati sulla base di criteri di sostenibilità, che in linea di massima – ha chiarito Gente – saranno quelli definiti nel regolamento sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti”. L’obiettivo è far pagare di più, e quindi di fatto disincentivare, l’immissione sul mercato di prodotti di scarsa qualità, non durevoli, non riutilizzabili e non riciclabili. A partire dai capi della fast fashion.

Un’iniziativa che ha incassato il plauso del Parlamento e del Consiglio, anche se nelle rispettive posizioni negoziali i due co-legislatori hanno proposto diverse modifiche di dettaglio al testo della Commissione. Rispetto alla versione di Bruxelles, ad esempio, gli europarlamentari chiedono che gli Stati membri attivino i sistemi di responsabilità estesa entro 18 mesi dall’entrata in vigore della nuova direttiva e non entro i 30 proposti dall’esecutivo europeo, mentre nella posizione negoziale del Consiglio viene confermato il periodo transitorio della proposta originale ma in più si chiede di estendere il perimetro della disciplina anche alle microimprese (che Commissione e Parlamento vorrebbero esentare) e, soprattutto, di riconoscere agli Stati membri il potere di applicare la responsabilità estesa, quindi la possibilità di obbligare al versamento di un contributo su ogni prodotto, anche agli operatori commerciali del riutilizzo. Una proposta bocciata dalla federazione europea delle imprese del riciclo EuRIC, secondo cui sarebbe “un colpo fatale per un settore già sull’orlo del collasso a causa dell’aumento dei costi e del calo delle vendite”.

Nelle scorse settimane sono state proprio le imprese del riciclo a chiedere alle istituzioni Ue un’accelerazione nell’iter per la revisione della direttiva. In calendario, infatti, c’è l’avvio dell’obbligo di raccolta differenziata dei rifiuti tessili a partire dal 1 gennaio 2025, che in Italia è scattato già dal 2022 e che, secondo gli operatori della filiera nazionale del ‘second hand’, sta determinando un peggioramento della qualità della raccolta e l’aumento dei costi di trattamento, soprattutto quelli per lo smaltimento delle frazioni non riutilizzabili o riciclabili. Secondo UNIRAU e ARIU, le due principali sigle nazionali della selezione, raccolta, riuso e riciclo degli abiti usati, settore che nel nostro paese esprime vere e proprie eccellenze industriali, i contributi raccolti dai sistemi di responsabilità estesa del produttore dovranno essere indirizzati alla copertura delle diseconomie di settore – come lo smaltimento delle frazioni a zero valore aggiunto o gli elevati costi delle fibre riciclate rispetto a quelle vergini – e non alla duplicazione di un sistema “in grado di rispondere positivamente per dimensione e per know how alla sfida della trasformazione da lineare a circolare di questa filiera”, ha dichiarato qualche settimana fa il presidente di ARIU Jospeh Valletti. Un sistema che “fino a oggi si è autofinanziato con i ricavi della valorizzazione delle raccolte” ma che rischia di crollare sotto il peso di una congiuntura sempre più segnata da costi crescenti e ricavi in calo.

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