Il pacchetto Economia Circolare, approvato la scorsa settimana dal Parlamento europeo e a breve oggetto dei triloghi con Commissione e Consiglio Ue, non si limita ad introdurre nuovi target di riciclo e conferimento in discarica dei rifiuti per gli Stati membri, ma è facile prevedere che proprio sui numeri si consumerà lo scontro più acceso tra le tre istituzioni comunitarie chiamate a prendere parte all’iter legislativo. In vista del prossimo avvio dei negoziati per giungere alla definizione di una versione condivisa delle quattro nuove proposte di direttiva, i fronti sembrano già ben delineati con il Parlamento forte dell’approvazione a larga maggioranza del rialzo degli obiettivi al 2030 (70% di riciclo dei rifiuti urbani, 80% degli imballaggi, e un tetto massimo del 5% ai conferimenti in discarica) e dall’altra parte i rappresentanti degli Stati membri e la Commissione che spingeranno – naturalmente – per il ritorno ai target più prudenti proposti a dicembre 2015 dall’esecutivo Juncker, e cioè 65% e 75% di riciclo rispettivamente dei rifiuti urbani e degli imballaggi e 10% di tetto massimo ai conferimenti in discarica.
Ma come si presenterà l’Europa a 28 (o 27, a seconda dell’esito di Brexit) all’appuntamento con i nuovi obiettivi? Tutt’altro che unita sui nastri di partenza, dicono i numeri. Tanto che anche per i rifiuti, e in particolare in materia di discariche, si prospetta l’ipotesi di una Unione “a due velocità”. Stando agli ultimi dati Eurostat, riferiti al 2015, l’Ue ha mandato in discarica in media il 25,5% dei suoi rifiuti urbani. Un dato decisamente alto. Ancora più alto, anche se di poco, è quello dell’Italia, che con il suo 26% paga soprattutto le carenze infrastrutturali del Mezzogiorno sul fronte del recupero energetico dei rifiuti tramite incenerimento. Un problema che non si pone in Paesi come Germania, Svezia, Belgio, Danimarca e Olanda, dove almeno stando ai numeri risulta infatti ormai raggiunto l’obiettivo “discarica zero”. Fermo restando che buona parte delle ceneri prodotte dalla combustione dei rifiuti finiscono comunque in discarica, ma si tratta in questo caso di impianti per rifiuti speciali e quindi non considerabili ai fini della determinazione delle statistiche sul pattume urbano.
Ad ogni modo, è decisamente ampia la forbice con Paesi come Malta, Croazia, Grecia, Cipro, Slovacchia e Bulgaria, tutti invece oltre il 65% di conferimento in discarica dei rifiuti urbani, con Malta addirittura al 90%. Per tutti loro il target al 2030, tanto nella versione della Commissione che in quella del Parlamento, sembra decisamente fuori portata, sebbene il pacchetto Economia Circolare preveda una possibile proroga di 5 anni per i Paesi che nel 2013 erano oltre il 65% di conferimento in discarica. Una soluzione “a due velocità”, che difficilmente però basterà a convincere i Paesi in ritardo ad accettare l’ambizioso target chiesto dal Parlamento. E non è escluso che al fronte del “no” ai target ambiziosi possano aggiungersi anche Spagna, Lituania, Ungheria e Repubblica Ceca, che nel 2015 hanno tutte superato il tetto del 50% dei rifiuti urbani conferiti in discarica.
Ampi divari anche sul fronte del riciclo, che tra compostaggio e recupero di materia da rifiuti nel 2015 in Europa ha assorbito il 45% in media dei rifiuti urbani generati. Un dato che anche stavolta vede l’Italia perfettamente allineata, con un 44% che resta tuttavia lontano dai target proposti da Commissione e Parlamento e dalle migliori performance europee: il 66% della Germania (che avrebbe dunque già raggiunto l’obiettivo proposto dalla Commissione) ed il 57% dell’Austria. All’altro estremo della classifica, ancora una volta, Malta, Grecia, Romania, Slovacchia e Cipro, con meno del 20% di rifiuti riciclati. Anche se, in realtà, i numeri lasciano il tempo che trovano, visto che al momento ogni Stato membro è libero di scegliere il metodo di calcolo delle sue quantità di rifiuti recuperati tra quattro possibili alternative, cosa che rende complicata la comparazione dei dati.
Una disparità destinata a finire con l’entrata in vigore del pacchetto Economia Circolare, che prevede invece l’adozione di un metodo unico, basato sulle quantità effettivamente avviate a riciclo. Cosa che potrebbe comportare per tutti gli Stati membri un netto ridimensionamento delle percentuali, anche e soprattutto nei Paesi che al momento figurano ai vertici delle classifiche. Come la Germania, che ad esempio include nel calcolo delle proprie percentuali di riciclo anche parte delle ceneri e dei metalli prodotti dai processi di combustione dei rifiuti. Ed è proprio questo a fare del governo tedesco, paradossalmente, il più strenuo oppositore all’introduzione dei nuovi target, tanto di quelli della Commissione che di quelli proposti invece dal Parlamento europeo. Una posizione che potrebbe incidere pesantemente sui tempi dei negoziati.