Una nuova figuraccia con l’Europa, e anche stavolta di mezzo ci sono i rifiuti. Non si tratta di rifiuti qualsiasi ma di scorie radioattive, quelle che l’Italia continua a gestire in barba alla legge ed in violazione degli accordi presi con Bruxelles. Cosa che potrebbe costarci l’apertura di una nuova procedura d’infrazione. La Commissione Europea si è infatti detta pronta ad inviare all’Italia una nuova lettera di messa in mora – atto che apre formalmente la procedura – per non essersi ancora dotata di un programma nazionale di gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi. A darne l’annuncio l’eurodeputata del Movimento 5 Stelle Rosa D’Amato, che nei mesi scorsi aveva interrogato la Commissione sui ritardi dell’Italia in tema di smaltimento delle scorie, con riferimento particolare alla controversa vicenda del deposito temporaneo di rifiuti radioattivi Cemerad di Statte. Una vera e propria bomba ecologica, quella in provincia di Taranto, con i suoi 1140 metri cubi di rifiuti radioattivi stoccati in condizioni precarie e da anni in attesa di bonifica. Bonifica che stenta a partire, anche perché in Italia di un piano coerente per la gestione delle scorie non c’è ancora traccia.
A confermarlo è stata la Commissione nella lettera di risposta alla europarlamentare pentastellata. “La risposta è chiara – scrive Rosa D’Amato sulla sua pagina web – l’Italia non ha ancora presentato il suo programma, tant’è che la Commissione, secondo quanto ci ha comunicato nella lettera, ha dovuto sollecitare le autorità italiane chiedendo chiarimenti sui tempi di attuazione”. Risposta che, spiega Rosa D’Amato, la Commissione Europea chiede sia fatta pervenire entro e non oltre il prossimo 13 gennaio. Vale a dire entro mercoledì. L’apertura di una nuova procedura d’infrazione, insomma, sembra ormai impossibile da scongiurare. Anche perchè il ritardo fin qui accumulato dall’Italia è davvero pesante. Stando alla direttiva Euratom 70 del 2011, ogni Paese deve dotarsi di un programma di gestione in sicurezza delle scorie, dalla loro generazione fino allo smaltimento finale. L’Italia avrebbe dovuto mettere a punto il suo programma entro il 31 dicembre del 2014. Cosa che, però, non è mai avvenuta.
Un primo ammonimento dalla Commissione, in via informale, era venuto sul finire della scorsa estate, dopo che l’Italia non aveva rispettato la scadenza fissata al 23 agosto per la presentazione della valutazione ambientale strategica sul programma. Difficile valutare ciò che ancora non esiste. Che quella scadenza non sarebbe stata rispettata, del resto, lo aveva confermato anche il ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi nel corso di un’audizione presso la commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti. Poi, nei giorni scorsi il nuovo monito della Commissione, nella lettera di risposta alla eurodeputata cinquestelle che ha svelato la data dell’ultimatum: 13 gennaio 2016. Una scadenza che sarà impossibile rispettare. Tutto questo mentre a Statte così come nelle altre località che ospitano depositi temporanei di scorie, migliaia di fusti radioattivi attendono di conoscere il loro destino. Sono circa 30mila i metri cubi di scorie stoccati temporaneamente da nord a sud della Penisola, in attesa di un programma di smaltimento definitivo e, soprattutto, in attesa della realizzazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Una volta costruito, l’impianto – che sarà gestito dalla Sogin, controllata di Stato responsabile dello smantellamento delle centrali nucleari italiane – dovrebbe permettere lo stoccaggio definitivo in totale sicurezza di 90mila metri cubi di scorie. Anche su questo fronte, però, il ritardo accumulato è pesantissimo.
Era atteso per settembre il nulla osta congiunto dei Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico alla pubblicazione della Carta nazionale delle zone idonee ad ospitare l’impianto, atto che avrebbe ufficialmente aperto il lungo e delicato percorso di confronto con le comunità locali per giungere alla scelta condivisa del sito su cui costruire il deposito. Settembre è passato, il nulla osta non è arrivato e da allora della Carta non si è saputo più nulla. Nel frattempo, però, la governance di Sogin è andata in frantumi a seguito delle dimissioni dell’amministratore delegato Riccardo Casale, mentre le comunità locali da nord a sud dello Stivale continuano ad alzare barricate contro il Governo e contro qualsiasi ipotesi di realizzazione dell’impianto sul proprio territorio. Una situazione disperata. Palazzo Chigi nel frattempo ha scelto di trincerarsi in un assordante silenzio. E dire che per garantire piena trasparenza e partecipazione ai processi decisionali per la costruzione del deposito, nei mesi scorsi Sogin aveva finanziato una maxi campagna informativa (dal valore di più di due milioni di euro) sui principali media nazionali. “Sullo smaltimento dei rifiuti radioattivi non siamo andati avanti” recitava lo slogan, che adesso rischia di prendere il sapore amaro della beffa. Dell’ennesima occasione sprecata.