Sessantasette siti in 7 diverse Regioni. Sono quelli considerati idonei ad accogliere il futuro Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi, secondo quanto indicato nella CNAPI, (Carta delle aree potenzialmente idonee) pubblicata da Sogin, la società di stato responsabile dello smantellamento delle ex centrali nucleari italiane, che il 30 dicembre scorso ha incassato il via libera definitivo dei Ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente. Lazio in testa per numero di siti (22), poi la Basilicata (16, di cui 4 condivisi in parte con la Puglia che da sola ne conta invece uno) e la Sardegna (14 siti), ma anche Piemonte (8 siti), Toscana (2 siti) e Sicilia (4 siti) le Regioni censite. I siti non sono tutti equivalenti ma presentano differenti gradi di priorità a seconda delle caratteristiche e sono stati scelti perchè conformi sia ai criteri di localizzazione definiti da ISPRA (oggi ISIN) nella Guida Tecnica n. 29, che ai requisiti indicati nelle Linee Guida IAEA (International Atomic Energy Agency). «Un lavoro coordinato congiuntamente dai due ministeri – si legge in un comunicato congiunto – atteso da molti anni, che testimonia la forte assunzione di responsabilità da parte del governo su un tema, quello della gestione dei rifiuti radioattivi, che comporta anche per il Paese una procedura di infrazione europea».
Sono proprio le direttive europee in materia, su tutte la 2011/70/EURATOM, a stabilire che ogni Paese debba dotarsi di infrastrutture centralizzate nelle quali depositare in sicurezza i propri rifiuti radioattivi, che in Italia invece «sono stoccati in una ventina di siti provvisori, che non sono idonei ai fini dello smaltimento definitivo», si legge. Sono poco più di 30mila i metri cubi di rifiuti radioattivi attualmente stoccati sul territorio nazionale e che andranno trasferiti al futuro Deposito Nazionale. Si tratta principalmente di rifiuti a media e bassa attività generati dallo smantellamento delle ex centrali nucleari italiane, ma anche di quelli prodotti quotidianamente dalle attività mediche e ospedaliere «dalle sostanze radioattive usate per la diagnosi clinica, per le terapie anti tumorali, ad esempio, da tutte quelle attività di medicina nucleare che costituiscono ormai il nostro quotidiano».
Il progetto, dal valore stimato in un miliardo e mezzo di euro, prevede la costruzione su un’area di circa 150 ettari del Deposito Nazionale e di un Parco Tecnologico da destinare ad attività di ricerca. Il Deposito vero e proprio avrà una struttura a matrioska: all’interno di 90 costruzioni in calcestruzzo armato, dette celle, verranno collocati grandi contenitori in calcestruzzo speciale, i moduli, che racchiuderanno a loro volta i contenitori metallici con all’interno i rifiuti radioattivi già condizionati. In totale, la struttura accoglierà circa 78 mila metri cubi di rifiuti a bassa e media attività. A questi si aggiungeranno i circa 17mila metri cubi destinati allo stoccaggio provvisorio dei rifiuti ad alta attività, con tempi di decadimento di migliaia di anni, buona parte dei quali si trova al momento in Francia e Inghilterra e stando agli accordi internazionali siglati dall’Italia con i due Paesi dovrebbe far rientro a partire dal 2025.
Arriva insomma un via libera più volte annunciato e poi puntualmente rimandato fin da quel gennaio 2015, quando la Carta fu consegnata per la prima volta nelle mani dei Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico. A ritardarne la pubblicazione una lunga serie di revisioni e approfondimenti chiesti dai due dicasteri agli organi tecnici competenti, Sogin, Ispra e Isin. Ma non è escluso che sulla scelta di tenere a lungo sotto chiave il dossier abbiano pesato anche valutazioni di opportunità politica, rispetto ad un progetto che sin dagli albori ha suscitato malumori e levate di scudi da Nord a Sud della Penisola. Proprio con i territori censiti nella CNAPI si aprirà adesso una delicata fase di confronto. Due mesi per la consultazione dei documenti, poi nell’arco dei 4 mesi successivi, sarà convocato un seminario nazionale. «Sarà questo l’avvio del dibattito pubblico vero e proprio che vedrà la partecipazione di enti locali, associazioni di categoria, sindacati, università ed enti di ricerca, durante il quale saranno approfonditi tutti gli aspetti, inclusi i possibili benefici economici e di sviluppo territoriale connessi alla realizzazione delle opere». La CNAPI sarà quindi aggiornata e convalidata nella sua versione definitiva, poi sarà il momento di scegliere, una volta per tutte, il luogo che dovrà ospitare l’infrastruttura. L’obiettivo è giungere ad una scelta il più possibile condivisa. Se così non dovesse essere, sarà il governo a decidere.