La Corte di giustizia Ue ha condannato l’Italia per non aver comunicato alla Commissione europea il programma nazionale per la gestione delle scorie radioattive. Sulla base della direttiva 2011/70/Euratom del 2011, infatti, gli Stati membri avrebbero dovuto notificare per la prima volta il dossier alla Commissione entro il 23 agosto 2015. La scadenza, però, non era stata rispettata, spingendo la Commissione ad aprire una procedura d’infrazione. Successivamente, con un parere motivato inviato a Roma da Bruxelles, la Commissione aveva fissato un nuovo termine per la pubblicazione del programma al luglio 2017, ma anche quest’ultima dead line non è stata rispettata. Da qui la scelta di adire la Corte, fino alla sentenza di condanna emessa oggi dai giudici Ue. Si tratta della prima condanna, dunque non saranno comminate sanzioni pecuniarie. Solo se la Commissione europea scegliesse di deferire ultieriormente l’Italia alla Corte, potrebbe chiedere la condanna al pagamento di penalità periodiche o sanzioni forfettarie.
Nell’aprile scorso, in occasione di un’audizione al senato, Davide Crippa, sottosegretario al Ministero dello Sviluppo economico – che assieme al Ministero dell’Ambiente è l’ente che deve proporre e adottare il programma – aveva comunicato come le procedure per la chiusura del Programma nazionale fossero ancora in corso. “Le Autorità proponenti (MiSE e MATTM) – aveva dichiarato – stanno concludendo le attività di elaborazione della dichiarazione di sintesi e delle misure di monitoraggio, con il supporto di una task force composta da esperti tecnici istituzionali”. “Tutte le attività – chiariva il sottosegretario – dovranno essere concluse in tempo utile a fornire quanto richiesto per l’udienza di fronte alla Corte di Giustizia (Causa C- 434/18), prevista per l’inizio della prossima estate, e di conseguenza per neutralizzare le penalizzazioni della procedura di infrazione”. Parole cadute nel vuoto, visto che ufficialmente il programma non risulta adottato nè dal Ministero dello Sviluppo, nè da quello dell’ambiente.
E non è escluso che a bloccare l’adozione del programma sia anche l’impasse sulla pubblicazione della Cnapi, la Carta nazionale contenente l’elenco dei siti potenzialmente idonei ad ospitare il futuro Deposito Nazionale delle scorie radioattive, top secret dal 2015. Un documento fondamentale, visto che la sua pubblicazione darà il via al lungo e delicato percorso di confronto con le comunità locali per giungere alla scelta condivisa del sito. Peccato che ad oggi nessun governo sia riuscito a dare l’ok alla desecretazione del dossier, forse temendo l’impopolarità della procedura, pesantemente osteggiata da Nord a Sud del Paese. Se la fase del dibattito pubblico non dovesse partire entro il 2019, diventerebbe molto difficile rispettare il cronoprogramma che prevede l’avvio dei lavori entro il 2021 e il collaudo della struttura nel 2025. Anche in questo caso responsabili del procedimento sono i ministeri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente, che dovrebbero desecretare la Cnapi con un nulla osta congiunto. Un nulla osta più volte annunciato ma mai arrivato. L’ultimo a fissare una possibile data è stato proprio il sottosegretario Crippa: «Si ritiene auspicabile – aveva dichiarato – che la pubblicazione della CNAPI avvenga entro i prossimi 6-9 mesi». Cosa che ne collocherebbe la desecretazione nell’arco dell’ultimo trimestre di quest’anno.