Sogin ha consegnato al Ministero della Transizione Ecologica la Carta delle aree idonee a ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, elaborata a valle della lunga consultazione pubblica che ha coinvolto decine di portatori d’interesse raccogliendo quasi mille osservazioni sul progetto. Ma la strada verso una scelta condivisa del sito resta in salita
Da Cnapi a Cnai: un cambio di acronimo che segna un passaggio chiave nel percorso verso la costruzione del deposito nazionale delle scorie radioattive. A valle della lunga consultazione pubblica sulla Carta delle aree potenzialmente idonee ad ospitarlo (Cnapi), Sogin ha infatti elaborato e trasmesso al Ministero della Transizione Ecologica la proposta di Carta delle aree giudicate come idonee a tutti gli effetti, la Cnai. Il MiTE dovrà ora acquisire il parere tecnico dell’Isin, l’ispettorato per la sicurezza nucleare, e approvare la Carta con un decreto da adottare di concerto con il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili.
La consultazione pubblica sulla Cnapi è durata oltre un anno, ricorda Sogin: dal 5 gennaio 2021, data di pubblicazione della Carta allo scorso 14 gennaio, ed è stata la “più grande consultazione pubblica finora svolta in Italia su un’infrastruttura strategica per il Paese”, dice la società di Stato responsabile dello smantellamento delle ex installazioni nucleari italiane e della costruzione e gestione del futuro deposito nazionale. Centinaia le osservazioni e i pareri tecnici acquisiti nelle varie fasi del procedimento. Oltre 300 le proposte pervenute nella fase immediatamente successiva alla pubblicazione della Cnapi, più di 600 quelle arrivate al termine del seminario nazionale, che nell’arco di due mesi ha coinvolto oltre 160 portatori d’interesse, tra rappresentanti di istituzioni ed enti nazionali e locali, associazioni, comitati e singoli cittadini. Quasi unanime il coro di ‘no’ alla realizzazione della struttura.
Ma che il deposito vada realizzato lo dicono le direttive Euratom, che obbligano gli Stati membri dell’Ue alla gestione centralizzata e in sicurezza delle proprie scorie. Scorie che anche l’Italia continua a generare quotidianamente, pur avendo detto addio alla produzione di energia elettrica dall’atomo con il referendum del 1987. Da gestire ci sono infatti i residui radioattivi dello smantellamento delle vecchie centrali, ma anche quelli prodotti ogni giorno dalle attività mediche e di ricerca e dall’industria. Al momento sul territorio nazionale ce ne sono più di 31mila metri cubi, parcheggiati in una ventina di depositi temporanei, spesso datati e non più adatti a garantire lo stoccaggio in sicurezza. Andranno tutti trasferiti al deposito nazionale, che una volta completato e entrato in funzione potrà ospitarne circa 90mila metri cubi.
La palla insomma passa adesso al Ministero della Transizione Ecologica, che con il decreto di approvazione e la successiva pubblicazione della Cnai darà il via a una “fase di concertazione”, spiega Sogin, per raccogliere “le manifestazioni di interesse, non vincolanti, a proseguire il percorso partecipato da parte delle Regioni e degli enti locali nei cui territori ricadono le aree idonee”. L’obiettivo è quello di “arrivare a una decisione condivisa del sito”, ma la levata di scudi di cittadini e amministratori allontana non di poco questa prospettiva. Se nessuna delle aree individuate dovesse candidarsi, il processo di negoziazione potrebbe protrarsi per tutto il 2022. In caso di prolungato stallo sarebbe il governo a calare dall’alto la propria scelta.