A due mesi dal trentesimo anniversario della esplosione della centrale di Chernobyl che vide l’Italia ricorrere all’istituto referendario che bocciò definitivamente l’ipotesi nucleare ad appannaggio di altre fonti energetiche, la questione torna a tener banco. È la Commissione d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti a radunare a Roma tutti gli interlocutori di una materia tanto spinosa quanto importante per il Paese. “La gestione dei rifiuti radioattivi e il sistema dei controlli. Esperienze a confronto tra Francia, Spagna e Italia”, è questo il titolo del convegno svoltosi questa mattina presso palazzo Montecitorio. Occasione preziosa per sottolineare ancora una volta i ritardi nell’attività di smantellamento dei depositi, nell’avvio di un sistema dei controlli e sulla mancanza di un deposito nazionale unico in cui collocare i rifiuti, propedeutico al quale è la pubblicazione della Carta Nazionale delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il deposito nazionale, anch’essa in attesa di pubblicazione.
Il presidente della Commissione, il deputato Alessandro Bratti, reduce da un sopralluogo nei più avanguardistici depositi europei (Francia e Spagna), ha aperto i lavori sottolineando l’impegno della bicamerale a tener alta l’attenzione del Parlamento sul tema: “La relazione che la nostra commissione ha consegnato già da qualche mese a Camera e Senato, pone l’accento sul ritardo col quale si sta procedendo al decommissioning. A nostro avviso – prosegue Bratti – tali ritardi non possono che essere ascritti alla mancanza di un organismo di controllo, annunciato, ma mai realmente istituito”. Il riferimento è all’Isin (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione). Attualmente è l’Ispra (Istituto per la ricerca ambientale) che continua a monitorare il funzionamento dei siti destinati allo smantellamento, la stessa Ispra che ha vidimato la carta dei siti idonei ad ospitare l’atteso deposito progettato da Sogin, ma che il Ministero tarda a rendere pubblica. Entro 10 anni, il deposito per i rifiuti a bassa, media ed alta radioattività, dovrebbe essere realizzato per assicurare uno smaltimento sicuro a tutto il materiale radioattivo già presente nel nostro Paese, a quello che deve rientrare dall’Estero e, infine, a quello che annualmente viene prodotto in Italia e riprocessato nei circa 20 siti dislocati su tutto il territorio nazionale.
“In Piemonte ci sono i 2/3 di tutti i rifiuti radioattivi italiani in termini di concentrazione radioattiva; per i volumi, il primato passa al Lazio, regione nella quale è presente circa 1/3 dei volumi di rifiuti radioattivi italiani, concentrati nel centro Enea della Casaccia, alle porte di Roma”. A fare il punto della situazione è Roberto Mezzanotte, consulente della Commissione promotrice dei lavori. “La loro produzione – continua Mezzanotte – cessa solo con il completo smantellamento degli impianti. Attualmente in Italia i rifiuti radioattivi ammontano a circa 30mila metri cubi già presenti nei siti, 40mila metri cubi è invece la stima approssimativa di quelli che produrrà lo smantellamento degli impianti esistenti, mentre ci sono altri mille metri cubi riprocessati che arriveranno dall’Estero dove l’Italia li aveva spediti in attesa della costruzione del deposito”. A questi numeri vanno aggiunte le quantità che l’Italia continua a produrre sia nelle centrali in decommissioning, sia in ospedali e industrie per l’uso di sorgenti radioattive: 500 mc/anno. “Numeri – ha concluso il consulente – che segnalano la necessità di realizzare con urgenza il deposito”.
In questo senso preziose le testimonianze di Juan Jose Zaballa Gomez, presidente di Enresa, e di Jean Christophe Niel, direttore generale di Asn, autorità di sicurezza nucleare che nei rispettivi Paesi (Spagna e Francia) hanno portato a compimento da tempo la costruzione dei depositi nucleari simili a quello che Sogin ha progettato per l’Italia. I loro interventi hanno preceduto quelli di Giuseppe Zollino, presidente Sogin che ha sottolineato i pregi e la sicurezza del deposito per ora esistente solo sulla carta, e le importanti ricadute economiche che la sua costruzione potrebbe avere sul territorio che si candiderà ad ospitarlo. Per ora, il Paese rimane in attesa del Nulla Osta dei Ministeri competenti (Ambiente e Sviluppo Economico) all’elenco dei siti idonei. 30 giorni dopo, le parti interessate saranno chiamate a presentare osservazioni al progetto del deposito. Poi toccherà alle Regioni e agli altri soggetti esporre le proprie considerazioni, preliminari all’aggiornamento del progetto da parte di Sogin. Infine sarà l’Ispra ad esprimere il proprio parere che tornerà ai Ministeri chiamati ad approvare la carta. A quel punto l’Iter potrebbe essere vicino ad una svolta e al cantieramento dei lavori per il primo deposito unico di rifiuti radioattivi. Tutto sotto l’occhio vigile dell’Europa che minaccia nuove procedure d’infrazione se i tempi fissati non saranno rispettati.