La filiera del recupero del biowaste, vale a dire la componente organica dei rifiuti urbani, si conferma motore trainante dell’economia circolare in Italia, capace di riciclare ogni anno più di un terzo dei rifiuti complessivamente intercettati dai sistemi di raccolta differenziata dello Stivale. Nel 2014 sono infatti state raccolte ed avviate a trattamento quasi 6 milioni di tonnellate di rifiuti organici, rispetto alle 12,5 milioni di tonnellate dell’intera filiera degli imballaggi, per un volume d’affari generato di 1,6 miliardi di euro, con circa 12mila addetti. Una filiera, quella dell’organico, che nel 2020 potrebbe veder aumentare il proprio giro d’affari di 300 milioni, la creazione di altri 5mila nuovi posti di lavoro considerando l’indotto e benefici netti per il sistema Paese, solo con compostaggio e digestione, per 2 miliardi e mezzo di euro cui andrebbero, in prospettiva futura, aggiunti 1,3 miliardi di euro di ricadute economiche ed occupazionali della innovativa filiera del biometano.
I dati emergono da una ricerca realizzata da Althesys Strategic Consultant per il Consorzio Italiano Compostatori (CIC) e presentata in occasione dell’annuale assemblea dei soci. I numeri parlano chiaro: la transizione verde auspicata dalla Commissione Europea con il nuovo pacchetto di misure sull’economia circolare (che per la verità guarda poco al mondo del biowaste, e proprio per questo è stato criticato) in Italia trova nella filiera degli scarti organici una delle sue punte di diamante. «Quella del rifiuto organico è la filiera del riciclo a più alta crescita e a maggior potenziale futuro, rappresentando un volano per occupazione e investimenti nonché un settore cruciale per la politica dei rifiuti in Italia – ha dichiarato Alessandro Canovai, presidente del CIC – la raccolta della frazione organica ha infatti registrato tra il 2011 e il 2014 un incremento del 27%, passando da 4,5 a 5,7 milioni di tonnellate. il fulcro della raccolta differenziata in Italia costituendone il 43%. Secondo le nostre stime entro il 2020 saranno raccolti e riciclati fino a 8 milioni di tonnellate di rifiuti organici all’anno».
Un aumento che, secondo le proiezioni di Althesys, potrebbe tradursi in un beneficio netto di circa 2 miliardi e mezzo di euro, con una stabilizzazione dei costi incrementali di raccolta differenziata ma con un lieve calo di quelli di trattamento e di trasporto. I principali benefici deriverebbero quindi dai costi di smaltimento evitati. A patto, naturalmente, di maggiori investimenti in impianti di trattamento. «Occorre investire in nuovi impianti su tutto il territorio e lavorare su una strategia nazionale di waste management per valorizzare e favorire la crescita della filiera – ha commentato Massimo Centemero, direttore del CIC – uscire da logiche territoriali e locali per misurarsi su scenari europei e farsi promotori di politiche europee». Un primo segnale, in questa direzione, è venuto lo scorzo marzo dall’adozione di un decreto – in attuazione del contestatissimo “Sblocca Italia” – recante misure “per la realizzazione di un sistema adeguato e integrato di gestione della frazione organica dei rifiuti urbani”. Un decreto che fa il paio con quello ben più discusso sugli inceneritori (ancora in fase di gestazione) e con il quale il governo punta ad individuare le lacune impiantistiche delle varie regioni e a colmarle secondo una strategia nazionale.
Il decreto però non risolve tutte le criticità del settore che, anzi, a breve potrebbe risentire dell’entrata in vigore di un altro provvedimento: il cosiddetto “Collegato agricoltura”, modificato alla Camera da un emendamento che rischia di compromettere la tenuta della filiera. «Ci rammarichiamo dell’attuale formulazione dell’articolo 41 del ddl che dispone l’esclusione degli sfalci e le potature di parchi e giardini dal campo di applicazione dei rifiuti – ha aggiunto Canovai – considerando che su 5,7 milioni di tonnellate di rifiuti organici 1,9 milioni di tonnellate provengono dal verde, quindi più del 33%, questa iniziativa che nasce per fini di lobby potrebbe avere un effetto nefasto su un settore che è solido, strutturato e virtuoso. Se la norma passasse, si andrebbe a togliere un importante ingrediente per trasformare i rifiuti organici, rendendo critico e difficoltoso il processo di compostaggio e digestione anaerobica, e determinando quindi un ostacolo invalicabile allo sviluppo della raccolta differenziata ed al raggiungimento dei target di riciclo» e, allo stesso tempo «non solo esporrebbe il nostro Paese ad un’altra procedura di infrazione europea, ma comporterebbe anche un incremento dei costi di trattamento dei rifiuti urbani e delle tariffe per i cittadini, oltre ad avere numerosi effetti negativi con ricadute sull’impresa, l’occupazione, e non ultimo l’ambiente».