Secondo i riciclatori, non raccogliamo e selezioniamo rifiuti in plastica a sufficienza per raggiungere i target europei di riciclo. Ma l’Ispra stima in 5 milioni di tonnellate la produzione annua in Italia, due delle quali finiscono nell’indifferenziato e di lì in discarica o inceneritore
Mancano i rifiuti in plastica. Non nelle discariche o negli inceneritori, dove invece abbondano, ma negli impianti di riciclo di mezza Europa. Che di questo passo, avvertono gli operatori, difficilmente potranno contribuire al raggiungimento degli sfidanti obiettivi di circolarità fissati dall’Unione Europea. “È paradossale – ha spiegato Paolo Glerean, consigliere di Plastics Recyclers Europe nel corso di una tavola rotonda promossa da Assorimap – negli ultimi quattro anni l’industria europea ha investito 4,9 miliardi di euro in nuova capacità di riciclo, di cui 1,5 solo lo scorso anno. Cifre imponenti – ha detto – che si sono tradotte in nuova dotazione tecnologica capace di aumentare la potenzialità del sistema di sostituire plastica riciclata alla plastica vergine. Oggi il settore sembra una Ferrari, il problema però è che il distributore sta erogando carburante con il contagocce“.
Sembra un paradosso e invece lo dimostrano i numeri, messi nero su bianco dall’associazione europea dei riciclatori Plastics Recyclers Europe, secondo cui a fronte di 30 milioni di tonnellate di rifiuti in plastica generati in UE ogni anno, solo 9 al momento vengono raccolti, avviati a selezione e di lì spediti agli impianti di riciclo. Rifiuti da imballaggio, ma anche da apparecchiature elettriche ed elettroniche e da lavori di demolizione. Tutto il resto, spiega l’associazione, finisce in discarica o in inceneritore. In più, l’associazione stima un ulteriore gap di 20 milioni di tonnellate tra i prodotti immessi sul mercato e i rifiuti effettivamente generati. “Si tratta tra l’altro di quantità non tracciate – ha spiegato Glerean – a differenza degli imballaggi, dove i sistemi di responsabilità estesa del produttore hanno permesso di avere dei radar efficaci. Tutta un’altra serie di applicazioni della plastica invece non è monitorata e non ci dà modo di ricostruire i flussi degli scarti”.
In Italia ci ha provato, non senza fatica, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. “La produzione di rifiuti plastici arriva a circa 5 milioni di tonnellate l’anno – ha raccontato Valeria Frittelloni, direttore del centro economia circolare di Ispra – di cui solo 1,6 sono imballaggi da raccolta differenziata. Nel corso di tre campagne di analisi merceologiche abbiamo rilevato che nel solo indifferenziato urbano il 16% è costituito da rifiuti in plastica. Sono quasi due milioni di tonnellate. Rifiuti che pesano più degli imballaggi differenziati, ma che non raccogliamo perché le raccolte sono strutturate per intercettare solo questi ultimi“. Uno spreco che oltre a impedire alle imprese del riciclo di raggiungere le economie di scala grazie a flussi in ingresso stabili e crescenti, contribuisce a tenere il Paese lontano dai target vincolanti dell’UE. Che non sono solo sugli imballaggi. “Il riciclo della plastica può contribuire al raggiungimento dei target per molte altre filiere. Come l’automotive, rispetto al quale facciamo fatica ad allinearci all’obiettivo vincolante di recupero. Così come per i rifiuti elettrici ed elettronici, che pure contengono notevoli quantità di plastiche. Senza dimenticare che la plastica può contribuire all’obiettivo generale di riciclo dei rifiuti urbani (50% al 2025 e 60% al 2030, ndr) e di riduzione dello smaltimento in discarica (10% massimo entro il 2035, ndr)”.
“Dobbiamo estendere l’ottica della circolarità della gestione dei rifiuti plastici a tutti i settori – ha sottolineato Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile – e la strada maestra per farlo è quella della responsabilità estesa del produttore“. Introducendola per i settori non coperti, come automotive, arredamento o articoli casalinghi, e rafforzandola dove c’è già. Come sul fronte imballaggi, dove da un quarto di secolo ormai opera un consolidato sistema di responsabilità estesa che nel prossimo futuro sarà chiamato però a fare di più e meglio. L’Italia, con il suo 48% circa di riciclo non è troppo lontana dal target del 50% al 2025, ma l’introduzione del nuovo metodo di calcolo unificato a livello europeo, più rigido rispetto a quello adottato fin qui, potrebbe farci perdere fino a dieci punti percentuali. E con loro decine di milioni di euro, visto che dal 2021 è in vigore la tassa europea sulla plastica, nata per finanziare il programma Next Generation EU, che costa a ogni Stato 800 euro per tonnellata di imballaggi non riciclati e che all’Italia, stando all’ultima legge di bilancio, costerà nel 2022 circa 850 milioni. Che equivalgono più o meno a un ulteriore milione di tonnellate non avviate a riciclo.
“Una quota continua a non essere tecnicamente riciclabile – ha spiegato Edo Ronchi – e va detto che non tutti gli impianti sono attrezzati per riciclare le plastiche più difficili, come quelle poliolefiniche”. Ma i segnali che arrivano dall’industria sono incoraggianti. Secondo uno studio di Plastic Consult per Assorimap, nel 2021 i misti poliolefinici o il polistirene espanso, due frazioni tra quelle che tipicamente finiscono in discarica o in inceneritore, hanno fatto registrare rispettivamente un +20% e addirittura un +70% di polimeri riciclati in output, trainati da una domanda estremamente tonica nel settore dell’edilizia e delle costruzioni. Segno che l’industria del riciclo è pronta ad accettare la sfida, e che occorrerà migliorare la capacità del sistema di raccogliere, selezionare e avviare a riciclo un ventaglio sempre più ampio di frazioni.
“La tassa europea sarà sicuramente un pungolo – ha spiegato Paolo Glerean – per avere un approccio 2.0 alla gestione degli imballaggi. Gli attuali sistemi di responsabilità estesa sono già piuttosto evoluti – ha osservato – ma il passo successivo potrebbe essere quello di creare sistemi dedicati per i diversi tipi di plastica. Avere un unico contenitore nel quale raccogliere tutto può essere un ottimo inizio, e lo è stato, ora però è arrivato il momento di cominciare a ragionare in un’ottica settoriale per migliorare le performance. E magari spendere un po’ meno degli 850 milioni di euro che quest’anno abbiamo versato all’UE”. “Attenzione a toccare un sistema che ha dimostrato di funzionare – ha avvertito Edo Ronchi – se dobbiamo migliorarlo è soprattutto rispetto alla sua capacità di promuovere l’ecodesign e la riciclabilità dei rifiuti d’imballaggio”.