Secondo il Centro di Coordinamento Raee nel 2021 il tasso di recupero dei rifiuti elettrici si è fermato trenta punti percentuali al di sotto del target obbligatorio dell’UE. Colpa della carente raccolta e di una gestione scorretta alimentata anche dall’assenza quasi totale di controlli
L’Italia è un altro passo più lontana dal target europeo di raccolta e avvio a recupero dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. Rifiuti che gli impianti sono pronti a trattare correttamente e a trasformare in nuova materia prima, tanto più preziosa nei giorni della crisi degli approvvigionamenti, ma che non raccogliamo quanto dovremmo e che ancora troppo spesso sfuggono alle maglie del sistema ufficiale finendo nei canali del mercato parallelo. E il risultato, si legge nell’ultimo dossier sulla gestione dei Raee messo a punto dal Centro di Coordinamento nazionale, è che a fronte di un obiettivo vincolante del 65%, calcolato come rapporto tra le quantità raccolte in un anno e l’immesso a consumo nel triennio precedente, nel 2021 abbiamo toccato il 34,56%, in caduta libera rispetto al 36,8% del 2020 e al 39,5% del 2019. “Un valore di oltre 30 punti percentuali sotto il target che l’Unione Europea ha assegnato agli Stati membri – commenta laconico il direttore generale del CdC Raee Fabrizio Longoni – come sempre, ricordiamo si deve riflettere su quali siano le cause di una distanza così ingente dall’obiettivo”.
Nel processo per il mancato allineamento ai target dell’UE a salire sul banco degli imputati, “da protagonista”, sottolinea Longoni, è la raccolta. Che cresce, ma non abbastanza. Nel 2021 gli impianti autorizzati, spiega il CdC hanno avviato a recupero 510mila 367 tonnellate di Raee, il 6,6% in più rispetto al 2020, mentre nell’ultimo triennio la raccolta è aumentata del 10%. Un ritmo che però non tiene il passo dell’immesso a consumo. Per ottenere il valore da confrontare con i target UE il dato sulle quantità raccolte e avviate a trattamento nel 2021, cresciute di poco meno del 7%, va rapportato a quello dell’immesso a mercato medio nel triennio precedente, quindi tra 2018 e 2020, che invece è cresciuto del 13,5%. Ovvero a una velocità quasi doppia. Merito dei maggiori acquisti di prodotti tecnologici durante i due anni di pandemia, ma anche del cosiddetto ‘Open Scope’, la misura che proprio nel 2018 ha ampliato il ventaglio delle apparecchiature che, una volta giunte a fine vita, vengono considerate Raee, facendo “esplodere” il conto, dice il CdC, con un +44% su base annua.
A partire da quella data avremmo dovuto raccogliere di più, molto di più, ma non lo abbiamo fatto. Un po’ c’entra la mancata adozione del decreto del Ministero della Transizione Ecologica con l’aggiornamento dei cosiddetti ‘raggruppamenti’, che avrebbe dovuto fornire agli operatori le coordinate per classificare correttamente i nuovi Raee. Ma la fetta maggiore di responsabilità, commenta il CdC Raee, sta nel “cronico ritardo” dei sistemi di raccolta. Ma chi sono i soggetti deputati alla raccolta? Per i Raee domestici, che rappresentano la quota principale dei rifiuti elettrici generati ogni anno, ci sono da un lato i Comuni con i loro sistemi di raccolta differenziata. E dall’altro i rivenditori e gli installatori, obbligati al ritiro dei Raee quando vendono al cittadino un nuovo elettrodomestico equivalente. Su tutti e due i fronti si registrano da sempre ritardi e criticità. “L’impatto negativo sui risultati – spiega Longoni – è dovuto alla carenza della raccolta e alla scorretta gestione favorita anche dalla pressoché assoluta mancanza di controlli da parte degli organi preposti mirati a contrastare la gestione illegale dei Raee”.
Controlli che, ad esempio, dovrebbero verificare la corretta attribuzione dei codici dell’elenco europeo ai rifiuti elettrici che vengono depositati nei luoghi di raggruppamento dei Comuni e dei distributori. Secondo gli operatori del sistema nazionale, ogni anno quantità rilevanti di rifiuti elettrici vengono raccolte ma classificate come rottame e non come Raee, sfuggendo quindi al conteggio ai fini del confronto con i target europei e finendo in impianti di trattamento che non sono quelli accreditati dal sistema ufficiale. Cosa che vale soprattutto per alcune tipologie di rifiuti e per alcune aree del Paese. Basti pensare, fa notare il CdC, che la raccolta di R2, che è il raggruppamento delle lavatrici e lavastoviglie, che a livello nazionale vale il 33% della raccolta, in alcune province non raggiunge nemmeno il 10%.
Accanto ai Raee che spariscono perché classificati male ci sono poi quelli che vengono fatti sparire per alimentare un mercato parallelo fatto di impianti non ottimali e smantellamenti approssimativi, condotti in assenza delle più elementari misure di tutela della salute e dell’ambiente con l’unico obiettivo di strappare alle vecchie apparecchiature tutto quanto è facilmente e rapidamente monetizzabile. Tanto più in concomitanza con periodi di prezzi vantaggiosi sul mercato dei metalli. “A questo dato negativo – chiarisce Longoni – fa da contraltare il lavoro di qualità svolto dagli impianti italiani di trattamento dei Raee, che proseguono in un iter di evoluzione qualitativa di assoluto livello, a cui si accompagnano costanti investimenti in sviluppo tecnologico”. Da un lato le imprese, che crescono e innovano. Dall’altro una raccolta che invece avanza a passo di lumaca, minacciando il raggiungimento delle economie di scala e la sostenibilità stessa degli investimenti messi in campo dai gestori degli impianti. Che poi devono anche fare i conti con la concorrenza sleale del commercio clandestino e degli impianti non ottimali.
È un quadro, quello dipinto dal CdC Raee, che inchioda alle proprie responsabilità istituzioni locali e nazionali ed enti di controllo, proprio mentre la crisi delle materie prime sembra aver riportato i temi della gestione dei rifiuti e del riciclo al centro del dibattito politico. Anche se non nei termini auspicati dagli operatori. Qualche settimana fa proprio i Raee erano finiti al centro di una proposta di emendamento al decreto legge ‘PNRR 2’ che proponeva l’istituzione di una società a totale controllo pubblico, la “Miniera Nazionale Spa”, con il compito di “provvedere all’estrazione delle materie prime critiche dai rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche”. Quasi come se il ritardo dell’Italia dipendesse dalla natura privatistica delle attività di riciclo e non dalle responsabilità della sfera pubblica per la mancata raccolta e l’assenza di controlli sulla filiera. Idee “che fanno sorridere, per non mettersi a piangere – ironizza amaro Longoni – proponendo immaginari percorsi di industrializzazione pseudo-mineraria, senza aver contezza di cosa sia realmente necessario fare per estrarre materie prime dai Raee. Soprattutto – dice – senza interrogarsi su quanto si raccoglie e con quanti Raee si deve alimentare un impianto di trattamento. Concentriamoci sul necessario per lo sviluppo futuro, la raccolta, e lasciamo la fantasia al mondo dell’irrealtà”.