I numeri del Centro di Coordinamento Raee restituiscono le proporzioni della gestione non corretta di rifiuti tecnologici. “Nel 2020 mancano all’appello 190mila tonnellate di piccoli elettrodomestici dismessi”. La causa? Pochi centri di raccolta e troppe falle nella filiera, a partire dai ritiri a domicilio
Sono tredici i punti percentuali che separano la raccolta dei rifiuti elettrici ed elettronici in Italia dal target vincolante fissato dall’Europa al 65% dell’immesso a consumo. Tutto questo nonostante nel 2020 il sistema sia riuscito non solo a far fronte all’emergenza pandemica continuando a garantire il ritiro dei Raee su tutto il territorio nazionale, ma addirittura a fare meglio dell’anno precedente, segnando un aumento del 6,35% delle quantità raccolte e avviate a corretto trattamento e portandole a oltre 365mila tonnellate. Il problema però è che ce ne sono altre 200mila che ancora oggi spariscono dai radar, ostacolando il percorso verso i target Ue ma soprattutto alimentando traffici illeciti e gestioni abusive. Lo dimostrano i dati presentati questa mattina dal Centro di Coordinamento Raee. “In un anno particolarmente drammatico – spiega il presidente del CdC Bruno Rebolini – la forte sinergia tra gli attori della filiera, dai comuni alle aziende di gestione dei rifiuti, passando per i distributori e installatori di apparecchiature elettriche ed elettroniche – ha ricordato Rebolini – ha permesso di incrementare le quantità raccolte, sebbene durante il picco della pandemia e in particolare nei mesi di marzo e aprile 2020 fosse stato registrato un calo dei flussi del 40%“.
I dati presentati dal CdC fanno registrare incrementi in tutte le categorie di Raee ad eccezione delle sorgenti luminose, con un +9,13% del raggruppamento 2, quello dei grandi elettrodomestici bianchi, con oltre 125mila tonnellate raccolte. Complessivamente, sono 6,14 i kg procapite correttamente raccolti a livello nazionale, con un ampio divario tra i 7 kg del Nord e i 4,7 kg delle Regioni del Sud, dove continua a pesare non solo l’assenza di una rete capillare di centri di raccolta comunali ma anche il radicamento di pratiche non corrette di gestione, che sottraggono Raee ai conteggi ufficiali per consegnarli nelle mani degli operatori del cosiddetto “canale informale”, tra impianti di trattamento non ottimali e veri e propri ‘smantellamenti’ abusivi con l’obiettivo di strappare dalle apparecchiature a fine vita tutto quanto può essere rapidamente e facilmente monetizzato, soprattutto ferro e rame. Ma quanti sono i Raee che mancano all’appello? “Stiamo parlando – chiarisce il direttore generale del CdC Raee Fabrizio Longoni – di 50mila tonnellate per i grandi elettrodomestici, 3mila per le sorgenti luminose, ma soprattutto di circa 190mila tonnellate di piccoli elettrodomestici. Questi rifiuti esistono ma vengono gestiti in maniera non corretta, dai cittadini che non li conferiscono in maniera idonea ma anche da chi li avvia a un percorso che non è quello ufficiale, favorendo operazioni che non sono quelle idonee a garantire il recupero in sicurezza dei materiali preziosi contenuti nei Raee”.
Materiali preziosi che fanno gola a molti e attorno ai quali si concentrano gli interessi di una autentica filiera parallela, particolarmente radicata nelle regioni meridionali. Come in Campania, dove il tasso di raccolta procapite è di poco superiore ai 3 kg, il più basso a livello nazionale, e dove quello che resta dei Raee cannibalizzati abusivamente finisce ad alimentare discariche abusive e roghi. “Le immagini catturate tra le province di Napoli e Caserta dai droni dell’Esercito – spiega Filippo Romano, viceprefetto e incaricato del governo per la Terra dei Fuochi – mostrano mezzi di trasporto professionali che scaricano rifiuti spesso in prossimità di campi Rom, immortalando anche il momento in cui avviene il pagamento per il servizio ricevuto. Sono immagini che parlano di un sistema strutturato, ‘professionale’, che sfrutta le falle di quello ufficiale”. Come ad esempio la nebbia che spesso avvolge il servizio di ritiro obbligatorio delle vecchie apparecchiature, in sostituzione dei nuovi elettrodomestici venduti, da parte dei distributori. “Soggetti che spesso e volentieri adottano condotte non totalmente conformi – dice Longoni – consentendo magari a qualcuno, con il proprio camioncino, di abbandonare cinque o sei frigoriferi da qualche parte dopo averne effettuato il ritiro a casa del consumatore”. E magari dopo averne ‘cannibalizzato’ le componenti di maggior valore, lasciando poi all’ultimo anello della catena illegale il compito di liberarsi di ciò che rimane. Spesso dandolo alle fiamme in cambio di pochi euro.
“Ecco perché insieme al Centro di Coordinamento e al Ministero della Transizione ecologica – spiega il viceprefetto Romano – stiamo ragionando sulla possibilità di attivare dei centri di raccolta speciali ai quali sia possibile conferire il rifiuto anche al di fuori delle normali procedure del ciclo post-mortem e a prescindere da come è stato prodotto“. Scongiurando così il rischio, ad esempio, che ciò che resta di un Raee cannibalizzato venga abbandonato in natura o dato alle fiamme. L’obiezione chiaramente è: ‘Non si rischia così di incoraggiare condotte non corrette?’ “La mia risposta è no – chiarisce – visto che ‘i pirati’ dei Raee, che di certo non si spaventano di fronte alla possibilità di smaltire abusivamente le apparecchiature dismesse, non avrebbero bisogno di questa misura per sentirsi incoraggiati. E soprattutto – aggiunge – accogliendo un male minore evitiamo un male peggiore. Ecco, forse nel nostro Paese dobbiamo imparare a ragionare così, in termini di ‘meno peggio'”.