Il decreto end of waste sui rifiuti da costruzione e demolizione inviato a Bruxelles rischia di diventare la pietra tombale per il settore del riciclo. Anpar: “Criteri troppo restrittivi ci costringeranno a fermare le attività di recupero a partire da gennaio”. Con contraccolpi anche sull’ecobonus
Lo schema di decreto ministeriale end of waste sui rifiuti da costruzione e demolizione è stato notificato lo scorso 14 marzo alla Commissione Europea e, dopo il periodo di standstill (90 giorni a partire dalla notifica) potrà essere pubblicato, in linea con la scadenza del 30 giugno fissata dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che inserisce l’adozione del provvedimento tra le milestone per l’anno in corso. Ma per gli operatori di settore, che pure attendono da anni l’adozione del regolamento sulla cessazione della qualifica di rifiuto per gli scarti dell’edilizia e delle infrastrutture, quella data rischia di segnare l’inizio della fine. Secondo Paolo Barberi, presidente di Anpar, associazione dei produttori di aggregati riciclati, “le norme transitorie durano sei mesi, quindi fino a dicembre 2022. Ciò significa che i nostri impianti chiuderanno per le festività natalizie e, quando il decreto sarà entrato finalmente in vigore, non potranno riaprire. Non è una minaccia ma una triste constatazione“.
Come siamo arrivati a questo punto? Perché il provvedimento che in teoria dovrebbe rilanciare le attività di riciclo rischia di diventare una vera e propria pietra tombale per il settore? “Il problema – spiega Barberi – riguarda i criteri dei controlli da effettuare sui prodotti delle nostre lavorazioni, indicati nelle tabelle allegate al decreto. E in particolare i valori di concentrazione limite di solventi e idrocarburi policiclici aromatici“. I primi, spiega il presidente di Anpar, “non esistono nei nostri prodotti, quindi obbligarci a ricercarli equivale a imporci un inutile balzello“. La presenza dei cosiddetti IPA, invece, è legata principalmente al conglomerato bituminoso, che è uno dei codici EER disciplinati dal decreto, “e il limite che ci viene imposto – spiega – è più basso di quello previsto nel decreto end of waste del 2018 sul fresato d’asfalto“. In sostanza, chiarisce Barberi, il decreto fissa limiti di concentrazione estremamente restrittivi, “come se i nostri prodotti potessero essere usati solo su suoli agricoli o destinati a verde pubblico“. E non in edilizia o nelle opere infrastrutturali, che invece oggi rappresentano la destinazione prevalente per gli aggregati prodotti dal riciclo dei rifiuti da costruzione e demolizione.
“L’errore di base – spiega Barberi – è che ci viene imposta la verifica su elementi che sono costituenti e non contaminanti dei nostri prodotti”. Anche per i test di cessione, dice, “è vero che i limiti per solfati e cloruri sono stati innalzati a 750 mg per litro, però questi continuano ad essere elementi che costituiscono i nostri prodotti, senza contaminarli”. I solfati ad esempio sono presenti in concentrazioni elevate negli intonaci, e i limiti fissati dallo schema di decreto aprono scenari a tratti paradossali. Il PNRR inserisce infatti il regolamento end of waste sui rifiuti da costruzione e demolizione tra le riforme da adottare entro questa primavera anche per garantire la corretta gestione dei rifiuti generati dagli interventi di efficientamento energetico finanziati con l’ecobonus, ma i limiti di concentrazione, spiega Barberi, vanificheranno questa ambizione. “Per fare il ‘cappotto termico’ – spiega – c’è da spicconare l’intonaco, che è fatto da materiale inerte legato a calce. Se riciclato nei nostri impianti, quell’intonaco darà origine a prodotti che supereranno in maniera importante il limite di 750 mg per litro per i solfati”. Senza che questo tuttavia rappresenti una minaccia. “Tutti, sia Ispra che l’Istituto Superiore di Sanità che il Ministero della Transizione Ecologica – dice Barberi – sanno che quel contenuto di solfati non comporta danni per la salute o per l’ambiente. Purtroppo però gli intonaci generati dai lavori dell’ecobonus, se riciclati nei nostri impianti, daranno origine a prodotti non conformi al decreto end of waste. In sostanza non potremo riciclarli e saremo costretti a conferirli in discarica“.
Non è solo un problema di intonaci, naturalmente. Secondo Anpar infatti i nuovi limiti di concentrazione sono restrittivi al punto da mettere le imprese del riciclo nelle condizioni di non poter operare su buona parte dei rifiuti in ingresso nei loro impianti. “Ance (l’associazione nazionale dei costruttori, ndr) è preoccupata quanto noi – dice Barberi – perché di fatto bloccheremo i loro cantieri, che genereranno rifiuti che noi non saremo più capaci di ricevere, mentre a valle tutte le infrastrutture che oggi utilizzano aggregati riciclati torneranno a utilizzare prodotti naturali”. In sostanza, il tasso di riciclo che oggi sfiora l’80% “scenderà a mio avviso a meno del 10%“, osserva laconico il presidente di Anpar. “Nella sua prima formulazione – dice Barberi – il decreto era addirittura retroattivo, cioè vincolava ai limiti indicati nelle tabelle anche gli aggregati già pronti negli impianti. Una evidente aberrazione”. Il nuovo testo invece concede alle imprese un periodo transitorio di sei mesi. “Ciò significa che che potremo continuare a vendere i materiali da riciclo già pronti negli impianti fino alla fine dell’anno, poi saremo costretti a fermare le nostre attività di recupero“.
Una vicenda che avrebbe del paradossale. “Abbiamo sempre sostenuto che il decreto end of waste sui nostri rifiuti fosse uno strumento validissimo per valorizzare e far crescere il mercato degli aggregati riciclati“. Oggi, ricorda Barberi, il 78% delle 40 milioni di tonnellate di rifiuti da costruzione e demolizione generate ogni anno viene trasformato in nuovi prodotti, “largamente utilizzati nelle costruzioni infrastrutturali – spiega – e in parte anche per misti cementati e calcestruzzi a bassa resistenza”. La pubblicazione di un decreto che stabilisca condizioni inequivocabili in base alle quali un rifiuto cessa di essere tale e diventa un prodotto “è certamente fondamentale”. Il testo inviato a Bruxelles, tra l’altro, scioglie una serie di nodi che da tempo ostacolavano l’operatività delle imprese di settore, “come la caratterizzazione e la dichiarazione di non pericolosità dei rifiuti”, osserva il presidente di Anpar, ma è una magra consolazione di fronte al rischio di paralisi per l’intera filiera.