Cresce il riciclo in Italia, toccando quota 44% nel 2017 (+2% sul 2016), ma “i ritardi e le modalità inadeguate nell’affrontare la questione normativa della cessazione della qualifica di rifiuto (End of Waste) preoccupano il settore e possono ostacolarne lo sviluppo”. Un bilancio in chiaroscuro, quello che emerge dal rapporto annuale “L’Italia del Riciclo”, promosso e realizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e da FISE UNICIRCULAR (l’Unione Imprese Economia Circolare). L’approvazione delle nuove direttive europee sull’economia circolare, che introducono obiettivi ambiziosi di riciclo e riutilizzo, può rappresentare un volano di sviluppo per l’intero settore. Per cogliere appieno questa opportunità però c’è bisogno, dicono i promotori della ricerca, di mettere mano a un quadro normativo che, dopo una controversa sentenza del Consiglio di Stato, risulta decisamente inadeguato. Come inadeguata è giudicata la risposta del governo, giunta nella forma di un emendamento alla legge di bilancio in discussione al senato, del quale oggi è stato ufficialmente chiesto il ritiro.
“Il riciclo in Italia è a buoni livelli e in continua crescita – ha affermato Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile – Il recepimento del nuovo pacchetto di Direttive europee per l’economia circolare va attuato con la massima cura, coinvolgendo i soggetti interessati, affinché sia uno strumento per fare ulteriori passi avanti, evitando errori normativi che invece potrebbero causare difficoltà e battute d’arresto. Le situazioni di crisi – dagli incendi di alcuni impianti a carenze e inefficienze nelle gestioni – che coinvolgono ancora realtà significative, a partire da Roma, possono essere affrontate facendo tesoro delle buone esperienze ormai numerose in Italia. Evitando di vedere solo l’albero che cade e non la foresta che cresce. L’Italia del Riciclo 2018 restituisce, con dati relative a tutte le filiere di riciclo significative, un’immagine di un settore dinamico che genera buoni risultati, sia ambientali, sia economici”.
Stando al dossier, anche nel 2017 è cresciuta la raccolta differenziata, che ha raggiunto il 55,5% (+3% rispetto al 2016), e il riciclo dei rifiuti urbani, arrivato al 44% (+2% rispetto al 2016). Il riciclo dei rifiuti di imballaggio ha confermato la propria crescita (8,8 milioni di tonnellate nel 2017, +3,7% vs il 2016), raggiungendo il 67,5% sull’immesso al consumo, superando anzitempo l’obiettivo del 65% che la nuova direttiva indica al 2025. Anche il riciclo delle singole filiere dei rifiuti d’imballaggio è in crescita: carta (+3,6%), plastica (+5,1%), vetro (+4,8%), legno (+3,4%), acciaio (+0,3%). La raccolta differenziata della frazione organica nel 2017 è aumentata del 3,2% e quella dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) è in crescita del 5%. Cresce il tasso di riciclo degli oli minerali usati, che ha raggiunto il 45% dell’immesso a consumo ed è cresciuta anche la raccolta degli oli vegetali esausti che ha toccato le 70 mila tonnellate (+8% vs 2016). In crescita anche il riciclo dei rifiuti da costruzione e demolizione, con un tasso di recupero di materia al 76%.
Si segnalano invece flessioni in quattro filiere: è calato il recupero dei veicoli fuori uso del 3% e anche quello del riciclo di pile e accumulatori dell’1%, in contrazione anche i quantitativi degli imballaggi in alluminio riciclati a causa dell’aumento di utilizzo dei rottami di imballaggio come materie prime seconde e del significativo aumento delle esportazioni di imballaggio End of Waste. Degno di rilievo è anche il calo del 9% del riciclo di materia degli pneumatici fuori uso che segnala anche il ritardo della pubblicazione del decreto End of Waste, sebbene la raccolta sia cresciuta del 6% vs 2016.
“L’Italia che si appresta a recepire le nuove direttive del Pacchetto europeo Circular Economy – ha dichiarato Andrea Fluttero, Presidente di FISE UNICIRCULAR – deve cogliere l’opportunità di affrontare la sfida della transizione dal riciclo di rifiuti tipico di un’economia lineare ad un compiuto sistema di economia circolare. La sfida del cambiamento di modello economico, parte dalle solide basi dell’industria del riciclo, ma è necessario che, sotto la guida ed il controllo di una “cabina di regia” per le diverse filiere coinvolte, ogni anello della catena ripensi a se stesso in chiave di circolarità, dai produttori – con un’accurata ecoprogettazione – alla distribuzione, ai consumatori, per finire con “l’anello mancante”, del post consumo, composto da logistica di ritorno, raccolta, preparazione al riuso, riuso, riciclo, creazione del mercato delle materie prime seconde, grazie ad adeguati strumenti modulabili di sostegno fiscale ed economico”.
Significativi anche i dati sulle importazioni e le esportazioni che, soprattutto rispetto alle seconde, sottolineano le carenze impiantistiche di alcune regioni del Paese. Nel 2016 (ultimi dati disponibili) i flussi di import ed export si sono contratti rispetto alla precedente rilevazione (2012), rispettivamente del 2% e del 13%. In Italia sono entrati 5,7 milioni di tonnellate di rifiuti, in particolare metalli ferrosi utilizzati dall’industria manifatturiera e sono state esportate 3,5 milioni di tonnellate di rifiuti, principalmente rifiuti pericolosi per i quali evidentemente non esistono impianti di trattamento sul territorio nazionale o, nel caso di rifiuti recuperabili (che rappresentano comunque una percentuale non superiore al 10%), per i quali non vi sono sbocchi per le materie secondarie. A livello geografico l’import si dirige principalmente verso Regioni (soprattutto del Nord-Italia) in cui è significativa la presenza di impianti di riciclo che trasformeranno i rifiuti in materia prima seconda: guida la classifica la Lombardia, con 11,7 milioni di tonnellate, seguita da Emilia (4,3), Veneto (4,2), Piemonte (3,1), Friuli-Venezia-Giulia (2,8) e Toscana (2,4). L’export, come origine, interessa in modo particolare Regioni con un tessuto industriale radicato o caratterizzato da un’evidente carenza impiantistica anche per la gestione dei rifiuti urbani: la Lombardia si colloca in testa anche a questa speciale graduatoria (5,4 milioni di tonnellate esportate), seguita da Veneto (4 mln di tonn.), Emilia-Romagna (3,2), Lazio (3,8), Campania (3) e Piemonte (3).