Il recupero energetico dei rifiuti non riciclabili può contribuire alla transizione ecologica ed energetica, ma l’esclusione dalla tassonomia UE e l’inclusione nello schema ETS vanno nella direzione opposta, favorendo discarica e emissioni. Lo scrive il Laboratorio Ref Ricerche nel suo ultimo position paper
L’esclusione dalla tassonomia europea e la contestuale inclusione nel meccanismo di scambio delle quote di emissione rischiano di affossare il recupero energetico dei rifiuti indifferenziati, che invece dovrebbe essere “promosso, laddove consente di minimizzare lo smaltimento in discarica a valle dell’implementazione di tutte le azioni possibili che ambiscono a massimizzare la prevenzione e il riciclo dei rifiuti”. Senza dimenticare il contributo, marginale ma non per questo trascurabile, alla sempre più urgente diversificazione delle fonti di energia. Lo scrive il Laboratorio Ref Ricerche nel suo ultimo position paper. Sia i biocarburanti avanzati, come il biometano generato dalla digestione anaerobica dei rifiuti organici, che l’energia generata dalla combustione delle frazioni non riciclabili, spiega infatti l’istituto di ricerca, possono giocare un ruolo importante nell’ambito della transizione energetica, tanto più alla luce dell’aumento dei costi di approvvigionamento di gas naturale e petrolio innescato dal conflitto in Ucraina. Ma il loro potenziale oggi appare “non pienamente compreso e valorizzato”. Almeno a giudicare dagli atti fin qui emanati dall’Unione Europea in relazione alla cosiddetta tassonomia degli investimenti verdi, il catalogo che nel prossimo futuro orienterà i capitali pubblici e privati verso le attività economiche che l’UE considera compatibili con gli obiettivi ambientali del Green Deal e con la clausola DNSH, ovvero non arrecare danni significativi.
Dei sei obiettivi ambientali della tassonomia, per ora, sono stati normati solo i primi due, ovvero mitigazione e adattamento al cambiamento climatico, mentre è atteso a breve l’atto delegato che introdurrà i criteri di vaglio tecnico e le condizioni da rispettare per non arrecare danno significativo per i restanti obiettivi, compresa la transizione verso l’economia circolare. La cornice fin qui emersa, spiega Ref, “identifica però già un perimetro di attività eleggibili afferenti alla gestione dei rifiuti” che vanno da raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi separati alla fonte alla digestione anaerobica e al compostaggio di rifiuti organici, passando per il recupero di materiali da rifiuti non pericolosi e la cattura e l’utilizzo del gas di discarica. “Le attività riguardanti il trattamento dei rifiuti – osserva Ref – ripercorrono la gerarchia dei rifiuti dalle fasi propedeutiche al riutilizzo e al recupero fino al riciclaggio e al recupero energetico delle frazioni biodegradabili” mentre il “grande assente”, almeno per il momento, è proprio il recupero energetico dei rifiuti non riciclabili.
Una scelta che non solo rischia di rallentare la transizione verso l’economia circolare ma che sembra contraddire quanto affermato a più riprese dalla stessa Commissione UE. In una comunicazione ad hoc del 2017, ad esempio, la Commissione affermava che le tecnologie di recupero energetico “possono massimizzare il contributo dell’economia circolare alla decarbonizzazione” a patto di rispettare la gerarchia dei rifiuti, che privilegia le ‘tre r’: riduzione, riuso e riciclo. Una comunicazione in linea con quanto precisato dalla stessa Commissione nel 2020 in merito ai finanziamenti erogabili dalla Banca Europea per gli Investimenti (BEI), chiarendo che “un impianto di incenerimento con recupero di energia è eleggibile a condizione che sia pienamente rispettata la gerarchia dei rifiuti e che non conduca a una sovracapacità impiantistica” e che questo è preferibile allo smaltimento in discarica per i rifiuti non riciclabili e per gli scarti dei processi di riciclo “a condizione che sia rispettato un criterio emissivo di 250 grammi di CO2 per kWh“. Una posizione espressa in tempi recenti dallo stesso commissario UE all’ambiente Virginius Sinkevicius, che rispondendo a un’interrogazione parlamentare, spiega Ref, “ha ribadito la centralità dell’incenerimento con recupero di energia nel raggiungimento degli obiettivi di riciclo e di riduzione del conferimento in discarica”.
Piuttosto che escluderlo dalla tassonomia, spiega Ref, il recupero energetico andrebbe considerato sostenibile a patto di rispettare vincoli precisi. Ovvero quello di trattare solo scarti non riciclabili o derivanti dalle attività di riciclo, di collocarsi in un Paese che abbia già attivato sistemi di raccolta differenziata per tutte le frazioni per le quali sia obbligatorio e che abbiano raggiunto (o siano prossimi a farlo) gli obiettivi nazionali e comunitari di prevenzione, riuso e riciclo. “Gli investimenti nella termovalorizzazione, laddove rispondono alle condizioni sopra descritte, contribuiscono a prevenire forme di gestione più inquinanti. Al contempo, le emissioni evitate del metano prodotto dalle discariche e il recupero delle ceneri consentono di fornire un contributo all’obiettivo di mitigazione del cambiamento climatico”.
Ma a ostacolare il ruolo della termovalorizzazione nella transizione verso un’economia decarbonizzata e circolare non c’è solo l’esclusione dalla tassonomia. All’orizzonte infatti si profila l’eventuale allargamento all’incenerimento del sistema europeo di scambio delle quote di emissione, l’EU-ETS, che potrebbe essere rivisto tra il 2025 e il 2028 nell’ambito delle iniziative legate al cosiddetto pacchetto ‘Fit for 55’. “Qualora tale scenario dovesse realmente concretizzarsi – osserva Ref – gli impianti di recupero energetico dei rifiuti non riciclabili verrebbero gravati dagli oneri derivanti dal meccanismo, e specificatamente l’acquisto di un permesso negoziabile per ogni tonnellata di CO2 equivalente immessa nell’atmosfera”. Una scelta che sortirebbe l’effetto “di riorientare nuovamente alcuni flussi verso lo smaltimento in discarica, al momento esentato dall’EU-ETS: ciò, nonostante, le discariche costituiscano la principale fonte di emissione nel settore dei rifiuti”. Insomma, più emissioni in atmosfera e più smaltimento in discarica, effetti diametralmente opposti rispetto a quelli auspicati dal Green Deal: -55% di CO2 in atmosfera entro il 2030 e 10% massimo di smaltimento in discarica al 2035. Al contrario, spiega Ref, “andrebbero traguardati incentivi affinché anche le infrastrutture di recupero energetico dei rifiuti non riciclabili si allineino alle migliori tecnologie disponibili, coadiuvate eventualmente da tecnologie di cattura della CO2”.
L’invito è a considerare il ruolo giocato dal recupero energetico dei rifiuti non riciclabili nel passaggio all’economia circolare alla stregua di quello attribuito a gas naturale e nucleare nella transizione verso un sistema energetico a basse emissioni. “Queste due ultime attività – osserva Ref – sono state di recente ricomprese nella tassonomia UE, riconoscendone il ruolo nel ridurre l’impiego di fonti energetiche più impattanti. Un ruolo transitorio ma al contempo complementare alle energie rinnovabili nel cammino di decarbonizzazione. Al pari del caso del gas naturale e del nucleare, la tassonomia UE dovrebbe prevedere limiti stringenti alle emissioni dei termovalorizzatori affinché questi ultimi possano essere eleggibili a investimenti green, ma al contempo non negare al recupero energetico il ruolo di tecnologia di transizione, a fronte della necessità di ridurre il ben più impattante smaltimento in discarica”.