Entra in vigore oggi il rinnovato accordo di programma per l’adeguato trattamento dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. Con l’obiettivo, tra gli altri, di colmare un pericoloso vuoto normativo
Nei giorni della crisi delle materie prime, con rincari generalizzati che hanno colpito soprattutto quelle strategiche per la transizione ecologica ed energetica come silicio e rame, appare ancora più impellente la necessità di imparare a recuperare quanto più possibile quelle custodite nei nostri rifiuti. Soprattutto nei Raee, rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, autentiche ‘miniere urbane’ dalle quali estrarre ferro, vetro e plastiche. Ma anche oro, argento e palladio. Oppure le cosiddette ‘materie prime critiche’, come il litio, e le ancor più preziose ‘terre rare’, indispensabili per l’industria tecnologica. Secondo recenti stime, un milione di smartphone custodirebbe 24 kg di oro, 16mila kg di rame, 350 kg di argento e 14 kg di palladio.
Insomma, i Raee sono una risorsa preziosissima e proprio per questo fanno gola a molti. Secondo il Centro di Coordinamento nazionale nel solo 2020 ne sono ‘sparite’ oltre 200mila tonnellate, molte delle quali finite nelle maglie del cosiddetto ‘canale informale’, fatto non solo di smantellamenti abusivi ma anche di tanti piccoli impianti non ottimali che trattano le apparecchiature a fine vita con il solo obiettivo di strapparne tutto quanto può essere rapidamente e facilmente monetizzato, principalmente i metalli, risparmiando sui presidi ambientali necessari a impedire la dispersione delle sostanze potenzialmente inquinanti o nocive.
Per questo motivo da oggi entra in vigore il rinnovato accordo di programma siglato a maggio dal Centro di Coordinamento Raee con ASSORAEE, Assorecuperi e Assofermet, le tre principali associazioni nazionali degli impianti di recupero, con l’obiettivo di assicurare adeguati ed omogenei livelli di trattamento e qualificazione delle aziende del settore del trattamento dei Raee domestici, tramite l’accreditamento delle stesse aziende presso il Centro di Coordinamento Raee, sulla base di uno specifico audit condotto da verificatori terzi.
L’accordo, siglato per la prima volta nel 2016, nasce anche per compensare un vuoto normativo. Il decreto legislativo 49 del 2014, che sette anni fa aveva recepito la direttiva europea 2012/19 riformando il quadro normativo di settore, prevedeva infatti l’emanazione di un decreto attuativo del Ministero dell’Ambiente (oggi della Transizione Ecologica) che definisse standard ottimali di trattamento da adottare obbligatoriamente in tutti gli impianti autorizzati. Una previsione rimasta fino ad oggi lettera morta. E potrebbe restarlo a lungo, visto che proprio ieri, rispondendo a un’interrogazione alla Camera, la sottosegretaria al Ministero della Transizione ecologica Vannia Gava ha chiarito che, nonostante quanto stabilito dal decreto legislativo 49 del 2014, la possibilità di emanare il decreto attuativo sull’adeguato trattamento “sarà attentamente valutata” solo “una volta che saranno pubblicati gli atti esecutivi della Commissione (relativi alla direttiva 2012/19, ndr) al fine di prevenire un eventuale disallineamento fra le due disposizioni normative”. Insomma, per il decreto toccherà aspettare. Nel frattempo, a contenere il rischio che i Raee possano essere trattati in maniera non adeguata ci penseranno gli operatori di settore, con un accordo volontario che tra i suoi meriti ha anche quello di aver colmato, almeno in parte, un pericoloso vuoto normativo.