Per il governo che verrà l’attuazione del PNRR in materia di rifiuti ed economia circolare è già una corsa contro il tempo. Sulla realizzazione degli impianti incombe l’incognita delle autorizzazioni e degli appalti. Centrale il nodo delle competenze tecniche degli enti locali
A poche ore dall’insediamento del nuovo Parlamento e mentre ancora riecheggia la polemica tra la premier in pectore Giorgia Meloni e l’uscente Mario Draghi sui supposti ritardi nell’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, proviamo a fare il punto sullo stato dell’arte delle riforme e, soprattutto, degli investimenti che il PNRR disegna al capitolo su rifiuti ed economia circolare. Una piccola, piccolissima parte del Piano, sia chiaro, ma anche una efficace cartina al tornasole per cercare di capire cosa ha funzionato, cosa no e cosa, da qui al 2026, rischia di restare esclusivamente tra le 273 pagine del nostro ‘recovery plan’. Allora, dove sta la verità? Siamo in ritardo oppure no? La risposta secca è no. O almeno non ancora.
Le tre grandi riforme previste dal PNRR, ‘Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti’, ‘Strategia Nazionale sull’Economia Circolare’ e ‘Supporto tecnico alle amministrazioni locali’ sono state adottate dal Ministero della Transizione Ecologica nel pieno rispetto della milestone del 30 giugno 2022, e ora si sta procedendo alla loro attuazione. Le prime due riforme prevedono a loro volta un cronoprogramma molto serrato, ma mentre nel caso della Strategia l’attuazione è praticamente tutta nelle mani del MiTE, il Programma Nazionale chiama invece in causa le singole Regioni, che entro dicembre del 2023 dovranno adeguare i propri piani di gestione alle previsioni della riforma. Indicando ad esempio gli impianti dei quali intenderanno dotarsi per ridurre i conferimenti in discarica e aumentare il tasso di riciclo e recupero energetico. Un percorso tutt’altro che sgombro da ostacoli, alla luce delle prevedibili levate di scudi di amministratori locali e comitati territoriali. Tant’è che il governo potrà commissariare gli enti territoriali che non rispettino i tempi per il rilascio delle autorizzazioni. Ma ci arriveremo dopo.
Anche se negli ultimi mesi a rubare la scena sono stati il Piano e la Strategia, ambiziosi e molto attesi dagli addetti ai lavori, è però in realtà dalla terza riforma, ‘Supporto tecnico alle autorità locali’, che potrebbero dipendere le sorti dell’altra metà del PNRR, quella degli investimenti: un tesoretto da 2,1 miliardi di euro da trasformare in mezzi, strutture ma soprattutto impianti per migliorare la gestione dei rifiuti urbani e spingere l’economia circolare nei settori chiave della carta, del tessile, delle plastiche e delle apparecchiature elettriche ed elettroniche. Entro il 31 dicembre 2026 i progetti andranno autorizzati, messi a gara, appaltati e realizzati. Un’impresa titanica. Il perché lo spiega proprio il paragrafo del PNRR dedicato alla riforma. “Uno dei principali ostacoli alla costruzione di nuovi impianti di trattamento dei rifiuti”, si legge, è “la durata delle procedure di autorizzazione e delle gare d’appalto” dovuta spesso “alla mancanza di competenze tecniche e amministrative del personale di regioni, province e comuni”.
Da qui la centralità del ‘Supporto tecnico’, che non a caso delle tre riforme è quella che risulta adottata per prima. Secondo quanto reso noto dal MiTE, infatti, la misura ha preso corpo lo scorso maggio con un potenziamento del progetto ARCA, nato nel 2021 proprio con l’obiettivo di supportare i territori nel raggiungimento delle cosiddette ‘condizioni ambientali minime’. In virtù di un accordo siglato con l’Agenzia per la coesione territoriale, il Ministero, tramite società in house come Sogesid e Invitalia, dovrà garantire agli enti che ne facciano richiesta anche il “supporto nelle procedure di gara” e nel “rilascio delle autorizzazioni per la gestione dei rifiuti”. Un meccanismo che dovrà entrare a regime quanto prima, dal momento che i soldi sono già sul piatto, o meglio lo saranno presto. Nei giorni scorsi il MiTE ha infatti cominciato a pubblicare le graduatorie delle domande di finanziamento presentate da enti pubblici e imprese, con un primo elenco da 577 progetti per la realizzazione di impianti di riciclo dei rifiuti urbani e della plastica. Gli elenchi avrebbero dovuto vedere la luce entro il 30 settembre, ma la mole di proposte da esaminare (oltre 4mila) ha costretto il Ministero a concedere qualche settimana di proroga alla commissione di valutazione.
Non è l’unico slittamento rispetto al cronoprogramma. Già a cavallo tra febbraio e marzo infatti era stato prorogato di un mese circa il termine per la presentazione delle domande, visto che in un primo momento i progetti inviati da imprese ed enti locali non soddisfacevano i criteri di riparto delle risorse fissati dal PNRR (60% al Centro-Sud). Intoppi tutto sommato fisiologici, si dirà, tuttavia in un contesto nel quale il tempo è risorsa vitale non si può non leggerli come un minaccioso campanello d’allarme. Anche perché, come ha ricordato di recente anche la Corte dei Conti nel dossier sullo stato di attuazione del PNRR, “la tempistica di realizzazione delle infrastrutture afferenti il ciclo dei rifiuti urbani” nel nostro Paese “è pari in media a 4,3 anni”, ma mentre “le infrastrutture connesse alla raccolta presentano tempi più ridotti, con una durata media di 3,4 anni” le opere più complesse, come gli impianti di smaltimento o recupero, richiedono in media “4,7 anni”. In entrambi i casi, “più del 60 per cento del tempo complessivo è impiegato per l’iter di progettazione, comprensivo anche delle fasi autorizzative”. Il rischio che al 2026 molti dei progetti siano ancora sulla carta, insomma, è decisamente reale.
Del resto è la stessa Corte dei Conti a osservare come la debolezza della cosiddetta ‘execution’ “non sia limitata al settore in questione, ma riguardi in larga misura il sistema-Paese“. Motivo per cui il tema è stato al centro dell’azione del governo uscente fin dalle sue primissime settimane di vita. Con il decreto ‘semplificazioni bis’, ad esempio, è stato rimodulato il sistema della VIA nazionale con l’istituzione di una commissione speciale e i primi i risultati, almeno sul fronte dei nulla osta per le installazioni di nuova potenza rinnovabile, si sono visti (a capo della commissione c’è Massimiliano Atelli, che non a caso Giorgia Meloni punta a tirare dentro al nuovo esecutivo). Ma sono state riviste anche le modalità per il rilascio del PAUR, il provvedimento autorizzativo unico regionale, nato nel 2017 e sempre più spesso utilizzato proprio per realizzare impianti di gestione dei rifiuti. Senza dimenticare che solo qualche giorno fa il decreto ‘aiuti ter’ ha introdotto, per il governo, la possibilità di commissariare Regioni, Città Metropolitane e Province che non rispettino i tempi di legge per il rilascio delle autorizzazioni agli impianti individuati dal Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti e dal PNRR, definiti “interventi di pubblica utilità, indifferibili e urgenti”. Un cruscotto di strumenti dalle enormi potenzialità. Al prossimo governo il compito, non semplice, di farli funzionare nella maniera giusta.