Pochi fondi, ambito d’applicazione limitato e troppi ostacoli al finanziamento per le imprese private del riciclo. I primi dubbi delle associazioni di categoria sui criteri per la selezione dei progetti su rifiuti ed economia circolare da finanziare con i fondi del Pnrr
Il Ministero della Transizione ecologica preme sull’acceleratore per dare attuazione alle misure su rifiuti ed economia circolare previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, ma quello delle imprese, per ora, resta un giudizio sospeso. Tanti i nodi da sciogliere, dopo la pubblicazione dei decreti con i criteri per la selezione dei progetti da finanziare con i 2,1 i miliardi complessivamente disponibili. Se c’è una cosa che però incassa il plauso degli operatori di settore, è la tempestività della pubblicazione. “C’era grande attesa per l’uscita di questi decreti, che effettivamente sono arrivati in maniera tempestiva” osserva Barbara Gatto, responsabile green economy della CNA. “Ora si inizia a vedere nel dettaglio la ripartizione delle risorse economiche messe a disposizione dal governo, cosa che prelude all’avvio della fase esecutiva” aggiunge Francesco Sicilia, direttore generale di Unirima, l‘associazione dei produttori di carta da macero.
Dopo la pubblicazione dei decreti l’attesa è per i bandi, che saranno resi pubblici entro il prossimo 14 ottobre e che per 1,5 miliardi saranno rivolti a comuni e gestori del servizio pubblico, chiamati a presentare progetti per il miglioramento delle performance di differenziata, per il recupero dei deficit impiantistici anche tramite revamping di infrastrutture già esistenti e per la risoluzione delle procedure europee d’infrazione. Altri 600 milioni invece andranno alle aziende, che dovranno presentare progetti ‘faro’ di economia circolare per aumentare le quantità di materia riciclata e il livello di innovazione tecnologica in quattro filiere: tessili, plastica, apparecchiature elettriche ed elettroniche a fine vita e carta e cartone. “I decreti sono entrambi importanti, anche se contengono importi e direzioni d’investimento diversi tra loro – spiega Sicilia – quello che accogliamo con favore e che in tutti e due i testi si parli non soltanto della costruzione di nuovi impianti ma dell’ammodernamento di quelli esistenti, tema sul quale da tempo sollecitiamo l’attenzione dei decisori politici”.
La strategia fin qui messa in campo dal governo, però, non convince appieno i portatori d’interesse. A partire dalle piccole e medie imprese, che continuano a lamentare l’esiguità dei finanziamenti a disposizione delle aziende e la scelta dei settori d’intervento, troppo limitata rispetto alle reali esigenze dell’economia circolare italiana. “I decreti intervengono in ambiti nei quali il Paese sente di sicuro esigenze di sviluppo e di investimento – osserva Gatto – tuttavia risentono di limitazioni in parte già contenute nel PNRR, a partire dalla esigua dotazione economica. Nel caso del decreto sui ‘progetti faro’ che è quello destinato direttamente alle imprese e che interviene su settori strategici dove l’attesa è alta, poi, si punta solo ed esclusivamente all’ammodernamento e allo sviluppo infrastrutturale, che è importante ma non è l’unica strada da percorrere se si vuole davvero passare a un modello di economia circolare nei quattro settori individuati. Gli strumenti sono limitati rispetto alle attese”.
Limitati gli strumenti ma anche l’ambito di applicazione, secondo Paolo Barberi, presidente di FISE Unicircular. “I provvedimenti riguardano principalmente i rifiuti urbani, che sono solo una parte di quelli che l’Italia produce. E questo ha generato un po’ di delusione, visto che se vogliamo parlare di gestione dei rifiuti e recupero di risorse dobbiamo parlare di tutti i rifiuti prodotti, compresi gli speciali. Che ogni anno ammontano a 143 milioni di tonnellate, mentre gli urbani sono appena 30″.
Da sciogliere, prima della pubblicazione degli avvisi, anche il nodo su chi potrà effettivamente accedere ai finanziamenti della prima tranche, quella da 1,5 miliardi destinata a comuni e gestori del servizio, visto che alcuni passaggi del decreto, come il riferimento alla “finanza di progetto” o la clausola sulla proprietà pubblica delle opere e dei beni oggetto d’intervento, non sono troppo chiari e potrebbero rendere estremamente difficile l’erogazione dei fondi disponibili. “Sono aspetti che andranno curati bene nel dettaglio – avverte Sicilia – prima di passare poi alla fase degli avvisi. Il rischio, altrimenti, è che quelle risorse non vengano fuori”.
Al di là della scarsa chiarezza dei decreti e delle clausole più o meno vincolanti, a non convincere le imprese è il fatto stesso che la quota più ingente dei finanziamenti stanziati con il PNRR sia destinata a Comuni e gestori del servizio pubblico, tagliando fuori buona parte delle aziende del riciclo, settore nel quale operano storicamente soprattutto piccole e medie imprese private. “Le operazioni di recupero dei rifiuti sono notoriamente escluse dalla privativa – spiega Barberi – e quindi possono essere fatte anche dai privati e non necessariamente dai Comuni. Sembra quasi ci sia un disegno per spostare questo modello economico, che in Italia si basa principalmente sulle piccole aziende private, verso un modello di tipo ‘tedesco’ o ‘francese’, dove soggetti industriali di notevoli dimensioni gestiscono grandi ambiti territoriali in una sorta di regime di privativa. Non vedo segnali particolarmente rassicuranti per le nostre aziende”.