Avrebbe dovuto essere un duetto e invece, a quanto pare, sarà un assolo. Nella parte del tenore il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, che oggi potrebbe autorizzare la pubblicazione della Carta delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il futuro Deposito Nazionale delle scorie radioattive, la cosiddetta Cnapi. Il “do di petto” di Calenda, l’ultimo di una lunga serie, è arrivato ancora una volta via Twitter. “Stamattina daremo nulla osta anche in assenza di analogo atto del Ministero dell’Ambiente. La mappa c’è ed è giusto che gli italiani la conoscano” ha scritto stamattina il ministro.
Se il via libera sia arrivato o meno, al momento non è dato saperlo. Fatto sta che quello annunciato da Calenda è un autentico forcing istituzionale, quasi ai limiti della legalità. Il provvedimento che disciplina l’iter per la localizzazione e costruzione del Deposito, il decreto legislativo n. 31 del 2010, stabilisce infatti che il via libera alla pubblicazione della Carta messa a punto da Sogin (la società pubblica responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari), debba arrivare con un atto congiunto siglato dai ministri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente. Calenda però, a quanto pare, avrebbe scelto di andare avanti da solo, lasciando il cerino nelle mani del ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti. Che, se alle parole di Calenda faranno seguito i fatti, resterà il solo a dover decidere se e quando la Cnapi dovrà essere pubblicata. Fino ad allora, la Carta resterà chiusa nel cassetto.
Sui tempi della pubblicazione, del resto, il ministro dello Sviluppo e il suo omologo all’Ambiente hanno da sempre mostrato due atteggiamenti differenti, quasi agli antipodi: audace e intraprendente il primo, prudente e riservato il secondo. Insomma, la classica coppia di giovani amanti da operetta, in questo caso sempre meno lirica e sempre più soap. L’ultimo atto solo qualche settimana fa, quando alle dichiarazioni di Calenda, che aveva annunciato la pubblicazione del decreto interministeriale “tra questa e la prossima settimana” (era il 21 marzo), un ben più misurato Galletti aveva risposto sostenendo di non conoscere i tempi tecnici della procedura, e di non potere quindi stabilire una data precisa. “Non è che ci sia una scadenza. Bisogna vedere i tempi della formazione del nuovo governo, che non dipendono da me”, aveva chiarito il ministro, lasciando intendere che a gestire il dossier radioattivo dovesse essere il nuovo esecutivo.
Posizione, quest’ultima, sposata anche da Sogin. L’azienda controllata dal ministero dell’Economia ha fatto sapere di non voler rilasciare dichiarazioni ufficiali alla luce del tweet di Calenda, ma le parole pronunciate solo pochi giorni fa dall’ad Luca Desiata in occasione della presentazione dei risultati 2017 la dicono lunga. “Non sono io a poter dire se [il nulla osta] arriverà dal nuovo governo o dall’attuale – aveva dichiarato – se dovesse arrivare dall’attuale noi siamo ben contenti perché iniziamo prima. Le condizioni per noi ci sono per poter partire anche adesso”, salvo poi aggiungere “riteniamo che il processo autorizzativo per arrivare al nulla osta e alla pubblicazione debba essere il più solido e condiviso possibile“. Uno scenario, quello auspicato da Desiata, che non somiglia neanche un po’ a quello delineatosi oggi, con i due ministeri in rotta di collisione, per di più in seno ad un governo dimissionario, e nel bel mezzo di una settimana estremamente delicata per le sorti di una legislatura appena nata e già in sala di rianimazione. Sogin dunque non si muoverà prima di aver incassato il via libera anche dal ministero dell’Ambiente, e non solo perché c’è la legge ad impedirlo.
L’unico effetto del forcing di Calenda potrebbe essere insomma quello di aggiungere il carico dello scontro politico e istituzionale ad un processo già di per sé delicato (dal punto di vista tecnico) e impopolare (agli occhi dell’opinione pubblica), per quanto assolutamente necessario per la chiusura in sicurezza del ciclo nucleare nostrano. Vale la pena ricordare infatti che solo con la desecretazione della Cnapi potrà aprirsi la lunga fase di confronto con i territori censiti per giungere alla scelta condivisa della località che dovrà ospitare il Deposito. L’obiettivo è riuscirci entro il 2020 e avviare i lavori nel 2021. Cosa che consentirebbe la messa in esercizio del sito a partire dal 2025. Ma la strada è tutta in salita e la levata di scudi dei comitati del “no” ad ogni latitudine dello Stivale lascia presagire che i tempi potrebbero allungarsi, e di molto. Fino ad un massimo di quattro anni, stando alla legge. Poi sarà il governo, d’autorità, a stabilire dove dovrà essere costruito il Deposito.
D’altronde, che l’Italia debba dotarsi di un’infrastruttura unica per stoccare in sicurezza i suoi rifiuti radioattivi – quelli generati dallo smantellamento delle ex centrali nucleari assieme a quelli prodotti quotidianamente dalle attività industriali, mediche e di ricerca – lo dicono le direttive Euratom. Al momento ne abbiamo prodotti circa 30mila metri cubi, parcheggiandoli in una ventina di depositi temporanei da Nord a Sud del Paese e non sempre in condizioni ottimali. Una volta completato, il Deposito Nazionale dovrebbe invece accoglierne in totale sicurezza circa 95mila, di cui 78mila a media e bassa attività sono destinati a rimanerci per sempre, mentre altri 17mila ad alta attività saranno invece stoccati a titolo “temporaneo di lungo periodo”.
Tra questi vanno contati anche i residui delle operazioni di riprocessamento del combustibile esaurito (ovvero il recupero di materiale riutilizzabile) attualmente stoccati in Francia ed Inghilterra in virtù di accordi internazionali. Accordi che, per l’UK, ne prevedono il rientro in un periodo tra il 2020 e la fine del 2025 e per la Francia entro il termine ultimo del 31 dicembre 2025. Se entro quella data il Deposito non sarà pronto, toccherà pagare penali salatissime. Una volta pubblicata la Cnapi, insomma, occorrerà accelerare. Anche perché fin qui di tempo ne è stato perso davvero tanto. Basti pensare che il dossier era stato consegnato ai ministeri competenti già nel gennaio 2015, ma per due anni e mezzo è rimasto top secret. Nel frattempo Sogin, la società di Stato responsabile dello smantellamento delle ex centrali nucleari e alla quale spetterà la gestione del Deposito, lo ha aggiornato per ben due volte sotto la supervisione dell’Ispra. L’ultima solo poche settimane fa.