Incentivi al riciclo cercasi. Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, almeno per il momento, non ce n’è traccia, eppure proprio la definizione del nostro Recovery Plan avrebbe potuto essere l’occasione ideale per rispondere agli appelli delle imprese dell’economia circolare che da sempre ne chiedono l’introduzione. Del resto, perché non estendere anche al recupero di materia e alla produzione di MPS (Materia prima secondaria) un articolato sistema di incentivazione come quello che ha reso possibile per il nostro Paese traguardare prima di chiunque altro in Ue l’obiettivo del 17% di energia da fonte rinnovabile da raggiungere entro il 2020 (nel 2018 secondo il GSE l’Italia era al 17,8%)? A chiederselo sono soprattutto i riciclatori, che periodicamente rilanciano l’appello per l’introduzione di incentivi a supporto delle loro attività, spesso in concomitanza con momenti di crisi del mercato dei materiali riciclati, come accaduto di recente per la carta, con i prezzi del macero scesi tra 2017 e 2020 da 54 a 5 euro la tonnellata per effetto del blocco delle importazioni in Cina. «In queste fasi la “razionalità” economica suggerirebbe di raccogliere in maniera indifferenziata e smaltire i rifiuti, in luogo della raccolta differenziata laddove non esiste un reale sbocco per queste frazioni a riciclo» visto che «il bilancio complessivo tra economia lineare e circolare dipende dalla valorizzazione sul mercato delle MPS», scrive il Laboratorio Ref nel suo ultimo position paper. Tradotto significa che il mercato da solo non è sempre capace di garantire la sostenibilità economica delle attività di riciclo. E che senza sostenibilità economica non c’è sostenibilità ambientale.
Ma come la mettiamo con l’Ue? Già perché il problema è che se da un lato «le performance italiane nel riciclaggio sono già oggi ragguardevoli, sia per i rifiuti urbani (47%) sia per gli speciali (68%)» dall’altro «i nuovi e sfidanti target comunitari recentemente codificati nell’ordinamento impongono un salto di qualità che si scontra con l’attuale deficit impiantistico nel riciclo, il desiderio di ridurre la dipendenza dall’export, l’andamento instabile dei mercati delle materie prime seconde». Insomma, dice Ref, l’Europa ci obbliga a raccogliere e riciclare quantità sempre crescenti di rifiuti (il 55% degli urbani entro il 2025) ma «gli obiettivi non possono essere delegati allo spontaneo operare della “mano invisibile” del mercato». Ecco perché il Laboratorio ha provato ad immaginare un sistema di incentivi, i “Certificati del riciclo”, con «la funzione di assicurare l’equilibrio economico-finanziario degli impianti di trattamento impegnati nella trasformazione dei rifiuti in MPS, attività propedeutica al riciclaggio, intervenendo per bilanciare le oscillazioni di prezzo delle MPS».
Lo strumento, spiega Ref, potrebbe mutuare quanto già accaduto con i CIC, Certificati di Immissione al Consumo, rilasciati dal GSE ai produttori di biometano avanzato da rifiuti organici. A fronte di una storica carenza di impianti di trattamento, soprattutto al Sud, il via libera agli incentivi per il biometano nel 2018 si è infatti tradotto nel passaggio degli investimenti dai 10 milioni di euro del periodo 2014-2017 a 216 milioni di euro. «Una buona pratica che può rappresentare una applicazione mutuabile a sostegno degli impianti per il raggiungimento degli obiettivi di riciclo dei rifiuti da imballaggio, coerente con il desiderio di bilanciare l’incertezza che origina dalle oscillazioni dei prezzi delle MPS». La proposta di Ref è quella di introdurre «veri e propri “Certificati del Riciclo” (CdR), che attestano l’effettivo riciclo di una tonnellata di imballaggio» e il cui costo «individuerebbe in ogni istante il costo minimo efficiente necessario ad assicurare il rispetto dei target annuali di riciclaggio» muovendosi in controtendenza «aumentando quando il mercato delle MPS è cedente e riducendosi sino ad azzerarsi quando i prezzi delle materie prime sono in grado di assicurare la copertura dei costi dei trattamenti». Proprio come con i CIC sul biometano, quindi, «il ricavato dalla vendita dei CdR permetterebbe ai riciclatori di sostenere l’equilibrio economico, anche quando i prezzi delle MPS sono non remunerativi».
Per i flussi di rifiuto non coperti da obblighi specifici, come invece accade per gli imballaggi, Ref propone invece l’estensione del meccanismo dei Certificati Bianchi, ovvero dei titoli negoziabili che attualmente promuovono l’efficienza energetica nel settore industriale, dell’energia, dei servizi e dei trasporti, e che potrebbero essere rilasciati anche in maniera commisurata ai benefici energetici ed ambientali derivanti dall’impiego di materia riciclata, stimolandone e supportandone la produzione. Nel caso del vetro, ad esempio, è lo stesso GSE a ricordare come «l’incremento dell’utilizzo di rottame nella produzione di vetro consente di ridurre i consumi energetici di circa 2,5 punti percentuali ogni 10% di rottame riutilizzato». Da ultimo, spiega Ref, si potrebbero considerare nello “European Union Emissions Trading Scheme” (EU ETS) anche i benefici dell’utilizzo di MPS in termini di riduzioni delle emissioni climalteranti, «una eventualità da tenere in considerazione alla luce del fatto che il sistema EU ETS sta entrando nella Fase 4 (2021-2030), dove i requisiti ambientali e i meccanismi regolatori del sistema diventano decisamente più stringenti, alla luce dei nuovi e più ambiziosi obiettivi climatico-ambientali da traguardare».