Nelle regioni del Mezzogiorno le imprese dei servizi idrici, energetici e ambientali generano 10 miliardi di valore aggiunto, dice l’ultimo rapporto di Svimez e Utilitalia. Su fronti come idrico e rifiuti resta però da colmare il service divide in termini di infrastrutture e governance
Semplificare gli iter autorizzativi per la realizzazione di impianti di recupero di materia ed energia dai rifiuti urbani e dai fanghi da depurazione, ma anche favorire la diffusione di modelli di governance industriale capaci di promuovere investimenti e innovazione. Sono queste, secondo l’ultimo rapporto sul Sud curato da Utilitalia e Svimez, alcune delle azioni necessarie a colmare il service divide con il Nord in materia di servizi idrici, energetici e ambientali, consentendo alle imprese di sviluppare appieno il proprio potenziale di locomotiva della transizione ecologica anche nelle regioni del Mezzogiorno. Un comparto, quello delle utility, la cui dimensione economica è già oggi quantificabile nel 2,1% del PIL del Sud, si legge, con imprese che impiegano 340mila unità di lavoro a tempo pieno e contribuiscono all’attivazione di 10 miliardi di euro di valore aggiunto e 17 miliardi contando anche l’indotto. Un motore di sviluppo economico e occupazionale, ma anche un fronte avanzato nelle azioni di contrasto al cambiamento climatico. Una sfida che passa anche per la messa a terra dei fondi del PNRR: 6,7 i miliardi di euro destinati alle regioni del Mezzogiorno per interventi che riguardano i settori idrico, ambientale ed energetico. Un volume di investimenti capace di attivare 10,8 miliardi di euro di produzione nazionale ai quali si aggiungono 3,3 miliardi di euro di importazioni, per un totale di 14,1 miliardi di euro.
Uno scenario, quello meridionale, che stando allo studio resta caratterizzato da un profondo ritardo, soprattutto in termini di infrastrutture. “Ridurre il gap infrastrutturale del Sud – spiega il presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – è indispensabile per consentire al paese di raggiungere gli obiettivi della transizione ecologica e contribuisce a tutelare i diritti dei cittadini ad usufruire di un servizio di qualità uniforme su tutto il territorio nazionale e, al contempo, può innescare una positiva dinamica di sviluppo economico e sociale”. In tema di rifiuti urbani, si legge nello studio, gli obiettivi europei del 65% di riciclo e del 10% massimo di discarica al 2035 rendono necessario un cambio di passo sul piano della dotazione impiantistica. Per i rifiuti organici, anche se a livello nazionale il sistema risulta in equilibrio, si legge, occorrerà ridurre la dipendenza dei territori meno dotati di impianti dai costosi trasferimenti verso altre regioni. Alla luce del previsto aumento delle raccolte differenziate, le proiezioni vedono il Nord e la Sardegna garantire l’autosufficienza del trattamento, mentre tra Sud e Centro serviranno almeno 30 impianti con capacità media da 100mila tonnellate. Impianti da dotare necessariamente anche di linee di digestione anaerobica per la produzione di biometano, visto che stando a uno studio riportato nel dossier di Svimez e Utilitalia, il 5% del potenziale di 2 miliardi di metri cubi al 2030 stimato per le regioni del Centro-Sud deriva proprio dalla frazione organica dei rifiuti urbani.
Più complessa la situazione sul fronte del recupero energetico delle frazioni non riciclabili. Per raggiungere il target del 10% massimo di smaltimento in discarica entro il 2035, si legge, occorrerà far fronte a un gap minimo per le regioni del Nord, pari a poco più di 100mila tonnellate, e colmare invece squilibri ben più significativi sia al Centro (il doppio dell’attuale capacità disponibile), che al Sud (il 60% della capacità attuale), mentre in Sicilia, dove lo smaltimento in discarica interessa il 51% dei rifiuti urbani, il gap è di fatto del 100%. Per chiudere i divari, riporta il rapporto, occorre che i piani regionali di gestione vengano elaborati tenendo conto degli indirizzi forniti dal Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti in ordine alla chiusura del ciclo di gestione dei rifiuti. In un’ottica di semplificazione amministrativa, si legge, potrebbe essere introdotta automaticamente l’approvazione dei nuovi interventi infrastrutturali identificati nei piani regionali che rientrano tra quelli ‘prioritari’ in linea con il Piano Nazionale.
Restando in tema di economia circolare, avverte il rapporto, serve anche promuovere una migliore gestione dei fanghi da depurazione, ricchi di risorse ma ancora oggi smaltiti in discarica per il 55% mentre potrebbero essere recuperati sia in forma di materia che di energia. Ipotizzando uno scenario alternativo allo spandimento diretto in agricoltura, pratica sempre più osteggiata a livello locale, secondo il rapporto occorre dotare il servizio idrico di una capacità di trattamento avanzato per più di un milione 400mila tonnellate, necessaria a trasformare i fanghi in componenti chimiche per l’industria dei fertilizzanti, come fosforo e azoto, ma anche in biogas e biometano. Indispensabile da questo punto di vista, si legge nel rapporto, sia l’aggiornamento normativo della disciplina sull’utilizzo dei fanghi in agricoltura, ferma al D.L.gs 99/92, che quello della normativa sul riuso delle acque reflue. Sempre in tema di policy per l’economia circolare, accanto a un rafforzamento della disciplina dell’end of waste e della responsabilità estesa del produttore, lo studio propone anche l’adozione di schemi incentivanti come i Certificati di Efficienza Economica Circolare (CeeC) e Titoli di Efficienza Energetica Circolare (TeeC), da basare su un meccanismo simile a quello dei certificati bianchi per il settore dell’energia.
Sia sul fronte dei rifiuti che su quello idrico c’è però soprattutto da fare i conti con l’estrema frammentazione della governance. La gestione dei servizi nelle regioni meridionali, spiegano Utilitalia e Svimez, è spesso affidata agli enti locali. Le cosiddette ‘gestioni in economia’ al Sud riguardano ancora 7,7 milioni di cittadini, con una scarsa capacità di investimento, pari a 8 euro per abitante a fronte dei 56 garantiti nel 2021 dalle gestioni industriali. “La filiera energia ambiente rappresenta già oggi un asset importante del sistema produttivo meridionale – spiega Luca Bianchi, direttore generale di Svimez – occorre però incrementare gli investimenti pubblici e privati – dice – allineandoli ai livelli medi europei. Le risorse disponibili per i prossimi anni (PNRR e politiche di coesione) rappresentano un’occasione importante per conseguire tale obiettivo e non possono essere sprecate, ma devono essere accompagnate da interventi volti a promuovere una gestione industriale del settore”. Per superare le criticità in tema di governance, spiega il rapporto, occorre incentivare l’aggregazione e il partenariato tra soggetti industriali, indispensabile per massimizzare i vantaggi delle economie di scala e condividere conoscenze specialistiche, anche attraverso la
promozione delle reti di impresa. “Come dimostrano le positive esperienze del Centro-Nord e quelle delle realtà industriali presenti nel Meridione – spiega il presidente di Utilitalia Filippo Brandolini – servono interventi che permettano di superare le gestioni in economia, di promuovere la strutturazione di un servizio di stampo industriale e di rilanciare gli investimenti”.