Ripartono i lavori sulla revisione del regolamento UE sulle spedizioni di rifiuti e le imprese del riciclo tornano a lanciare l’allarme: “Per scongiurare il collasso dell’economia circolare – dice EuRIC – servono obblighi di contenuto riciclato nei nuovi prodotti”. Come sta succedendo per le bottiglie in PET
Senza misure di stimolo della domanda il mercato europeo dei materiali riciclati potrebbe andare incontro a un crollo delle quotazioni, con conseguenze a catena sulle attività di raccolta e gestione dei rifiuti. Le imprese del riciclo tornano a lanciare l’allarme in occasione della ripresa dei lavori del Parlamento europeo sulla proposta di revisione del regolamento sulle spedizioni internazionali di rifiuti. La riforma presentata dalla Commissione UE lo scorso novembre punta a dare un giro di vite alle spedizioni, anche illegali, verso Paesi extra UE e, almeno nelle intenzioni di Bruxelles, a rilanciare l’economia circolare entro i confini dell’Unione, ma secondo le imprese potrebbe invece rivelarsi un boomerang per le filiere europee del riciclo. Lo scrive in una nota EuRIC, associazione europea dei riciclatori, che se da un lato appoggia la scelta della Commissione di limitare le spedizioni di “frazioni problematiche – si legge – come gli scarti di plastiche miste”, ma anche le batterie o i pezzi di apparecchiature elettriche ed elettroniche, dall’altro invita a scongiurare il rischio che “restrizioni indiscriminate” alle esportazioni possano minare la sostenibilità economica delle attività di riciclo.
Secondo EuRic, infatti, l’approccio adottato dalla Commissione non fa alcuna differenza tra i “rifiuti problematici” e i rifiuti riciclabili selezionati o le materie prime secondarie derivanti dal riciclo. Materiali ad alto valore aggiunto come metalli, carta e plastica, che i riciclatori ricavano dai rifiuti in quantità crescenti, anche per effetto dell’incremento delle raccolte differenziate, ma che il mercato europeo oggi però assorbe solo in minima parte. Appena il 12% delle materie prime utilizzate dall’industria europea proviene infatti dal riciclo, ricorda EuRIC, mentre tutto quello che l’UE non assorbe viene inviato verso Paesi terzi, soprattutto nel far east: 17,4 i milioni di tonnellate di scarti in ferro esportati dall’UE nel 2020 secondo Eurostat, seguiti da 6,1 di carta e cartone, 2,4 di plastica. Destinazione principale per rottami e plastica la Turchia, mentre per la carta il primato va all’India seguita dall’Indonesia. Di fronte a un simile squilibrio tra domanda e offerta interna, il rischio è che il divieto all’export extra UE si traduca in un surplus sul mercato dell’Unione e in un conseguente crollo delle quotazioni dei materiali tale da compromettere la sostenibilità economica delle attività di riciclo.
Tant’è che stando a un sondaggio condotto dall’associazione il 70% dei produttori di carta riciclata prevede cali nel fatturato, mentre tra i riciclatori di metalli l’80% prevede una riduzione nel volume d’affari di almeno il 20%. Con ripercussioni anche sulle attività di raccolta differenziata e selezione dei rifiuti. “I materiali di alto valore destinati al riciclo si accumuleranno invece in discarica o finiranno per essere inceneriti – afferma Emmanuel Katrakis, segretario generale di EuRIC – e in assenza di condizioni di mercato adeguate le materie prime vergini ne risulteranno avvantaggiate”. Ecco perché, dice, “se i deputati vogliono garantire che i rifiuti vengano riciclati in Europa, devono sancire obiettivi vincolanti per l’uso di materiali riciclati in prodotti intermedi come metalli, carta e plastica”. L’unico modo, chiarisce l’associazione, per stimolare la domanda del mercato nell’UE, riducendo la dipendenza dai mercati internazionali e stimolando così un’economia circolare veramente europea che contribuisca a ridurre i consumi di materia e di energia e le emissioni di CO2. Una misura, quella del contenuto minimo vincolante, che nel caso della plastica sta già dimostrando di funzionare: l’introduzione dell’obbligo di contenuto riciclato nelle nuove bottiglie in PET (25% al 2025, 30% al 2030), sancito dall’entrata in vigore della direttiva SUP sulle plastiche monouso, ha infatti contribuito lo scorso anno a far lievitare i valori di mercato del R-PET, con un fatturato che per le sole imprese italiane del riciclo ha toccato quota 210 milioni di euro, in aumento del 56% circa sul 2020.