Dallo scandalo “Mafia Capitale” al tentativo di ristrutturazione di un’azienda devastata dal clientelismo, dalla guerra al monopolio del “Ras” di Malagrotta all’ambizioso progetto degli Ecodistretti, dalla firma del nuovo contratto di servizio figlio del sodalizio con Ignazio Marino alla rottura apparentemente insanabile con la giunta della neo-sindaca a 5 Stelle, Virginia Raggi. A poche ore dall’audizione in Commissione Ecomafie e a 72 ore dalla riunione del Cda di Ama nella quale verranno messe ai voti le sue dimissioni, Daniele Fortini, tira le somme di due anni trascorsi al vertice della municipalizzata capitolina che si occupa dell’igiene urbana. Un bilancio sereno, mentre tutt’intorno divampa il fuoco di uno scontro politico sempre più violento, mentre la Procura indaga sulle irregolarità nella gestione degli impianti, mentre la città intera rischia di sprofondare nella peggiore emergenza rifiuti degli ultimi anni. Ma a quell’ora lui, probabilmente, sarà già andato via.
Alla vigilia delle sue annunciate dimissioni, a voler fare un bilancio, che Ama ha trovato e che Ama lascia?
«Nel 2014, quando sono arrivato, Ama era confinata in un ambito “braccia e carrette”. Brutalmente, si raccoglievano rifiuti, si spazzavano le strade, si riempivano i camion e si sversava a Malagrotta. Un’azienda dove si conciliavano gli egoismi, politica poco luminosa, chiamata a soddisfare alcuni appetiti, fossero le assunzioni come per “Parentopoli”, fosse per gli appalti, come “Mafia Capitale” ha dimostrato, una dirigenza poco pedissequa nell’adempimento dei propri doveri, sigle sindacali non a servizio dei lavoratori. Ancora, c’era un contratto in scadenza, mancava un piano industriale, c’era un’azienda senza progettualità, dove le cose si trascinavano stancamente da qualche decennio. Poca raccolta differenziata. Quasi inesistenti gli impianti di trattamento e di valorizzazione dei rifiuti indifferenziati, due impianti TMB vetusti e inefficienti. Dopo due anni e mezzo di lavoro, siamo riusciti a introdurre una filiera di controlli su acquisti, gestione, movimenti, abbiamo introdotto metodologie, senso della presenza del management aziendale nel supervisionare ogni processo produttivo, abbiamo portato la raccolta differenziata sopra il 40%, abbiamo progettato impianti di compostaggio e gli ecodistretti, abbiamo svolto gare per cui l’80% degli acquisiti avviene con procedura di evidenza pubblica, abbiamo abbassato l’assenteismo dal 19 al 14%. Poi il contratto di servizio che abbiamo firmato con il prefetto commissario Tronca, la concessione di servizi per 15 anni ottenuta dal sindaco Marino, abbiamo elaborato un piano di sviluppo e industriale, insieme ai sindacati, abbiamo pianificato un futuro diverso dal passato. Un passato che mi ha spedito per ben 14 volte presso la Procura della Repubblica di Roma a consegnare informazioni sulle quali ci auguriamo che la Magistratura faccia chiarezza il prima possibile».
In questi anni ha sempre dimostrato di voler sottrarre a Cerroni ogni tipo di potere potesse esercitare su Ama. Cosa pensa della decisione dell’attuale Giunta di tornare a sedere intorno allo stesso tavolo con “il Supremo”?
«Noi abbiamo lavorato per affermare l’interesse pubblico generale come primario. Quando sono arrivato il 70% dei rifiuti indifferenziati finiva nelle mani del signor Cerroni che non a caso, i suoi fedelissimi, hanno ribattezzato “il supremo”. Noi siamo riusciti ad affermare il principio che i rifiuti di Roma sono dei romani, sia quando essi sono un problema, sia quando invece sono risorsa. Oggi sono i romani a decidere, attraverso la loro azienda pubblica, dove i rifiuti vanno collocati e in che modo devono essere trattati. Questa amministrazione mi pare stia cercando una via per dare soluzioni rapide ai problemi, magari anche spendendo cifre contenute rispetto a quelle che spendiamo adesso. Tuttavia ritengo che per ottenere degli obiettivi, questa amministrazione debba dare seguito al lavoro svolto in questi anni dall’Ama, collaborare con Regione e Governo e fare in nodo che la città si liberi dall’incubo dell’emergenza rifiuti. Roma oggi è in apprensione perché non al sicuro come tutte le grandi città metropolitane d’Europa dal rischio emergenza. Mi auguro che per liberarsi da questo peso, l’amministrazione non abbia bisogno di rivolgersi ancora a Cerroni».
Sempre Cerroni ha recentemente dichiarato “alla fine tornano sempre tutti da me”. Sono passati 3 anni dalla chiusura di Malagrotta, di chi sono le responsabilità se in questo tempo non si è chiuso ogni rapporto con il monopolista?
«Io devo dire che in questi anni la Regione ha aiutato Roma consentendole di portare i suoi rifiuti negli impianti di Frosinone, Latina o in Abruzzo. Lo stesso devo dire del Governo, che ci ha permesso di aprire gli impianti di recupero di energia del nord ai rifiuti di Roma secondo regole e leggi precise. Roma ha bisogno ora di un impulso più forte di autogoverno per la risoluzione dei propri problemi, sapendo di poter contare su Regione e Governo. Del resto, nessuna capitale d’Europa risolve i propri problemi all’interno del territorio comunale. A chi dice che dopo la chiusura di Malagrotta non è stato fatto nulla, rispondo che da tre anni siamo entrati in una fase di passaggio da un sistema vetusto e inadeguato, a un sistema invece di efficienze e di avanguardia per realizzare il quale tuttavia, occorrono tempo, decisioni, investimenti e coerenza».
Che fine farà il progetto sugli ecodistretti?
«Il progetto degli ecodistretti è un progetto da green economy perché prevede di affidare tutti i rifiuti a trattamenti intelligenti per i quali esistono già sul mercato equipaggiamenti adeguati, e di ridurre al 5% l’indifferenziato che finisce in discarica. Gli ecodistretti sono il futuro. Forse è avveniristico rispetto alle condizioni di Roma. Può darsi, ma credo che varrebbe la pena per questa città, dire “basta” ad una cultura semplicistica che tanti danni ha fatto all’ambiente tra discariche e inceneritori».
Cosa dirà domani in Commissione ecomafie?
«Diremo quali sono le cause delle cicliche crisi che attraversa le città e che non sono certamente colpa dei netturbini in strada o dei pochi dirigenti in azienda. Neanche dei cittadini che si comportano male. C’è certamente anche tutto questo, ma il tema vero è che questa città non ha gli impianti di trattamento e di valorizzazione dei rifiuti. Motivo per cui ogni volta che si intasa anche uno solo dei 62 impianti che utilizziamo in 10 regioni italiane o nei 3 stati esteri, i rifiuti rimangono in strada. Credo questo sia il tema che vada posto alle ecomafie perché tali vulnerabilità, è storia anche di queste settimane, prestano il fianco alle infiltrazioni mafiose che possono essere sconfitte solo con una buona progettazione industriale».
Quali crede siano le responsabilità dell’assessore Muraro?
«Noi con l’assessore Muraro abbiamo avuto solo un invito a partecipare a una riunione per discutere del problema dell’abbandono degli ingombranti e del malfunzionamento di raccolta di carta e cartone Problematiche connesse all’espletamento di alcune gare, alcune andate deserte, altre aggiudicate da soggetti non proprio brillanti. Dopodiché dal 7 luglio, giorno di insediamento di questa Giunta, ad oggi, non abbiamo avuto alcun invito. Il 4 luglio abbiamo inviato al Sindaco di Roma una relazione su 22 punti importanti per la vita aziendale e per poter pulire la città. Dopo quasi un mese, ancora non siamo stati invitati a discuterla. Non posso parlare di responsabilità dell’Assessore o dell’Amministrazione. Certamente questa è un’azienda che ha bisogno di decisioni e anche veloci. È un’azienda che ha un consiglio di amministrazione di 2 membri perché un terzo è andato via 7 mesi fa, senza direttore generale da febbraio, senza direttore finanziario, ma caricata solo sulle spalle di pochi. Se penso alle responsabilità dell’amministrazione più che a quelle di Muraro, penso a quella di non poter continuare a tenere la società sospesa quando c’è una città da pulire. Non ci servono scorciatoie né l’aiuto di Cerroni o di altri imprenditori privati».
Si sente trattato come un capro espiatorio da sacrificare in nome della discontinuità politica?
«Questo ci sta sempre. Negli avvicendamenti della padronanza dell’azienda capita. Io avevo già rassegnato le dimissioni quando arrivò il commissario, poi di fronte alla sua sollecitazione a rimanere, sono rimasto, ma con questo cambio era doveroso dimettersi. L’amministrazione a mezzo stampa ha chiesto di rimanere assumendoci le nostre responsabilità, saremmo stati disposti purché ci si fosse messi in moto. In realtà riunioni operative non ci sono state, ci sono stati invece blitz, aggressioni a mezzo stampa. Più che capro espiatorio la cosa sta prendendo la piega del risolvere un ingombro, quello della mia persona, che sul campo della legalità e della trasparenza non ha mai fatto sconti a nessuno e che quindi oggi risulta un po’ di impaccio».
Venerdì tornerà nella sua Toscana?
«Può darsi. Ma non escludo nemmeno di tornare a Napoli, città dove ho trovato un’altra patria. In questi giorni sono stato contattato da carissimi amici che mi hanno chiesto di dargli una mano. Vedremo…».