Il Pil come “punta dell’iceberg”, ovvero misura solo in parte capace di raccontare la complessità di un Paese, che non è fatto solo di tasse, fatturati, manovre e decreti fiscali, ma di bisogni, di relazioni, di situazioni di disagio che i numeri troppo spesso non riescono a rappresentare. Da qui l’appello a mettere a punto modelli economici che siano davvero sostenibili, lanciato dal ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti che ha presentato ieri a Roma il libro “Il mondo dopo Il Pil”. “Un libro che ho scritto quando facevo il docente – ha spiegato ad un pubblico attento – che racconta il paradosso che viviamo tutti i giorni: siamo in una società dove aumentano le diseguaglianze”. Per Fioramonti infatti il Pil “non è solo un numero, ma una potente istituzione a supporto dell’attuale sistema economico”. Un sistema che, si legge nell’introduzione, “impone uno stile di vita stressante, genera desideri irrazionali e minaccia di squarciare il mondo, minando quelle fondamenta sociali e naturali che rendono possibile la vita”.
E allora, come scalzare il Pil dal podio degli indicatori dello stato di salute di un Paese e sostituirlo con misure che siano “a misura d’uomo”? Fioramonti spiega ad esempio come “le metriche che “internalizzano” le esternalità delle attività economiche possano influenzare la percezione politica e collettiva delle grandi imprese (specialmente quelle più inquinanti), grazie in particolare alla quantificazione dei loro costi per la società, indebolendo in ultima analisi la loro accettabilità pubblica. Allo stesso tempo, le piccole imprese e l’economia della “condivisione” vedrebbero amplificato il loro contributo alla ricchezza e al progresso (dato che il loro impatto sul benessere collettivo va di solito ben oltre il limitato valore monetario catturato dal Pil). In questo modo, i responsabili politici e i cittadini verranno incoraggiati a spostare le loro preferenze verso un nuovo tipo di crescita economica. Per ottenere crescita economica, il sistema economico post-Pil dovrà ottimizzare produzione e consumi, invece di massimizzarli come accade ora”.
Quello del ministro è insomma un appello a passare ad “un’economia “orizzontale” basata sulla personalizzazione dei prodotti (al contrario della produzione di massa e delle economie di scala), sulla produzione di ciò di cui abbiamo davvero bisogno (in contrasto con la produzione di rifiuti) introduzione 21 e sulle manifatture locali (in risposta ai vantaggi comparati e ai trasporti globalizzati)”. “So perfettamente che cambiare un numero non basta per cambiare il mondo – scrive Fioramonti – perché ciò avvenga, serve uno sforzo coordinato dei vari settori della società: un movimento globale impegnato a sfidare lo status quo e gli interessi dietro di esso”. Anche perchè “non esiste un benessere sostenibile, né una responsabilità democratica, se i cittadini non hanno la possibilità di decidere quali dovrebbero essere gli obiettivi ultimi della vita politica ed economica”.