Fanghi da depurazione, una ‘carta d’identità’ per favorire il recupero

di Beppe Facchini 22/04/2025

In vista della revisione della vetusta disciplina di settore, il Consorzio Italiano Compostatori ha presentato la ‘carta d’identità’ dei fanghi da depurazione. L’obiettivo è favorire la verifica di idoneità all’utilizzo agronomico e superare un approccio oggi “più suggestivo che ragionato”, spiega il CIC


Aumentare la capacità del suolo di stoccare CO2, evitandone il rilascio in atmosfera, e ridurre il consumo di fertilizzanti di sintesi, superando gli ostacoli normativi e burocratici alle buone pratiche di economia circolare. Questi gli obiettivi della ‘carta d’identità’ dei fanghi da depurazione idonei alla produzione di fertilizzanti organici, nata a valle di un piano di ricerca multidisciplinare coordinato dal Consorzio Italiano Compostatori i cui esiti sono stati presentati nei giorni scorsi a Bologna in occasione di una giornata di studio dedicata all’utilizzo agronomico dei residui del trattamento delle acque reflue. Attualmente in Italia se ne producono oltre 3 milioni di tonnellate, ma più della metà viene avviata a smaltimento in discarica, complice anche la vetustà del quadro normativo di riferimento, fermo al d.lgs. 99 del 1992. Uno spreco, se si considera l’elevato contenuto di sostanza organica da restituire ai suoli agricoli.

“Sulla scorta della necessità di aggiornare la normativa, che ormai è piuttosto datata – spiega il direttore generale del CIC Massimo Centemero – abbiamo creato un gruppo di lavoro, il forum ‘biosolids to soils’ per verificare le caratteristiche che il fango da depurazione deve avere per essere idoneo alla produzione di fertilizzanti naturali come il compost”. Il risultato è “una vera e propria ‘carta d’identità’ dei fanghi – aggiunge Alberto Confalonieri, coordinatore del comitato tecnico CIC – che i ricercatori coinvolti hanno definito sulla base di un approccio complessivo e multidisciplinare finalizzato all’individuazione di elementi necessari a discriminare i parametri idonei alla qualificazione dei fanghi da quelli non idonei”.

Rispetto a un approccio che, sul fronte della verifica di idoneità dei fanghi, oggi è spesso “più suggestivo che ragionato”, dice Confalonieri, lo studio propone un modello che, pur mettendo al centro le esigenze di tutela ambientale e della salute, non vanifichi le potenzialità di recupero. Ad esempio, invece di entrare nel dettaglio di una lunga serie di singoli analiti “che, come possiamo immaginare, la chimica ci offre a migliaia”, chiarisce, “un approccio possibile è quello della valutazione ecotossicologica non del fango in sé quanto della miscela fango e suolo”. In più, spiega il coordinatore del comitato scientifico del CIC, rispetto a temi emergenti come microplastiche, PFAS e antibiotico resistenza l’opinione degli esperti è che prima di passare alla definizione di specifici parametri di idoneità “ci sia ancora bisogno di raccogliere informazioni sia sul piano della standardizzazione dei metodi di analisi che su quello dell’approccio generale, che deve essere necessariamente olistico e tenere conto di tutte le potenziali cause di contaminazione. Per questo – chiarisce – la proposta è in primo luogo quella di mettere in campo un’attività di monitoraggio standardizzata, a valle della quale decidere se e come imporre eventuali valori di riferimento”.

“La trasformazione di un rifiuto come il fango da depurazione, già di per sé idoneo all’utilizzo agronomico, in una risorsa come il fertilizzante naturale è un passaggio assolutamente necessario“, sottolinea Claudio Ciavatta, professore del dipartimento di scienze e tecnologie alimentari dell’Università di Bologna”, secondo cui l’avvio a compostaggio dei fanghi offre garanzie preziose “sotto il profilo del controllo di qualità a tutela dell’utilizzatore finale, vale a dire l’agricoltore, ma il quadro normativo deve essere assolutamente chiaro. E al momento non lo è”.

A rendere ancora più urgente un aggiornamento della disciplina sull’utilizzo agronomico dei fanghi ci sono anche le recenti evoluzioni del quadro normativo comunitario in materia di depurazione. “Dal 1 gennaio è in vigore la nuova direttiva europea sulle acque reflue – spiega Angiolo Martinelli, direttore generale per l’uso sostenibile del suolo e delle acque del Ministero dell’Ambiente – un testo che parla di riuso delle acque ma anche di recupero dei fanghi nell’ottica dell’economia circolare. Bisogna definire una normativa che sia adeguata al tempo in cui viviamo, che aggiorni quanto fatto in passato e che consenta di recuperare dai fanghi energia o nutrienti”. “Dobbiamo essere sicuri che la qualità dei fanghi non impatti sull’ambiente e la salute umana ma al tempo stesso non possiamo permetterci di perdere una risorsa fondamentale per restituire ai terreni sostanza organica e nutrienti”, chiarisce Tania Tellini, direttore del settore acqua di Utilitalia, secondo cui in vista della revisione della disciplina di settore “è necessario mettere a fattor comune le conoscenze tecniche di tutti i portatori d’interesse per indirizzare nel miglior modo possibile le attività di recupero e riutilizzo”.

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