Ancora un giro di vite della Cina sulle importazioni di rifiuti. Diventerà operativo da domani, infatti, il nuovo tetto massimo alle impurità presenti nei carichi di rifiuti inviati a trattamento negli impianti cinesi. Il limite alla presenza di elementi estranei sarà fissato allo 0,5% del peso complessivo del carico. La misura si inserisce in un più ampio programma di contrasto all’inquinamento, ribattezzato “National Sword”, varato l’anno scorso dal governo cinese. Sul fronte rifiuti è operativo già da gennaio lo stop all’import di 24 categorie: dagli scarti tessili a quelli derivanti dalla lavorazione del ferro e dell’acciaio, fino ai rifiuti in plastica da origine domestica e alla carta non selezionata. La misura era stata annunciata lo scorso luglio dal governo di Pechino con una comunicazione ufficiale al WTO (l’organizzazione mondiale del commercio) nella quale si spiegava come, a valle di una serie di controlli sui carichi di rifiuti spediti in Cina da ogni parte del mondo, fosse emerso che «rifiuti contaminati o addirittura pericolosi – si leggeva nella comunicazione – vengono mischiati con gli scarti utilizzabili come materie prime seconde».
Da qui la guerra alle importazioni di rifiuti non a norma. Una guerra senza quartiere. Tant’è vero che per quanto sia severo, il limite qualitativo che entrerà in vigore domani è addirittura meno rigido di quello contenuto nella proposta originaria presentata lo scorso anno dal governo di Pechino al WTO, nella quale si fissava il tetto massimo di impurità addirittura allo 0,3%. «Il WTO – spiega Andrea Fluttero, presidente di Unicircular, l’unione delle imprese italiane dell’economia circolare – si è adoperato molto per cercare di modificare le scelte della Cina e far ampliare i parametri, che in origine erano molto restrittivi, delle frazioni impure presenti nei materiali spediti, ma nonostante questo impegno dal primo marzo c’è l’applicabilità. E sebbene con percentuali un pochino riviste, il nostro sistema andrà sicuramente in grossa difficoltà».
Il giro di vite di Pechino, infatti, sta già mettendo in subbuglio il mercato globale dei rifiuti. Questo perché prima dello stop di gennaio il Dragone è stato per almeno tre decenni il principale importatore di rifiuti da recuperare a livello mondiale: nel 2016 7,3 milioni di tonnellate di scarti di plastica e 27 milioni di tonnellate di carta da macero, sono finiti in Cina per essere avviati a riciclo. L’Europa, da sola, avrebbe contribuito nello stesso anno per oltre 8,6 milioni di tonnellate di rifiuti cellulosici. «In Italia e in tutta Europa i contraccolpi saranno sicuramente molto forti – avverte Fluttero – perché ormai erano parecchi anni che si era consolidato un sistema che prevedeva il recupero e il riciclo di una quantità significativa di frazioni pregiate nel Vecchio Continente e una collocazione commerciale a basso valore aggiunto delle frazioni meno nobili e spesso più inquinate in Cina». Rifiuti che adesso l’Europa dovrà gestirsi da sola: aumentando la propria capacità di riciclo e recupero energetico, o collocandoli su nuovi mercati esteri.
In ogni caso servono soluzioni rapide, anche perché i contraccolpi potrebbero non essere solo economici. Il sospetto, infatti, è che proprio il blocco dell’export e il conseguente venir meno di una valvola di sfogo fondamentale per una fetta importante dei rifiuti raccolti in Italia possa innescare fenomeni di smaltimento illecito. Fenomeni ai quali, secondo fonti investigative, sarebbe da ricondurre il preoccupante aumento, negli ultimi mesi, dei roghi divampati in impianti di trattamento dei rifiuti da Nord a Sud del Paese. Come quello, spaventoso, che solo qualche settimana fa ha distrutto un capannone a Cairo Montenotte, in provincia di Savona. In fumo, centinaia di tonnellate di rifiuti plastici. Proprio quelli che la Cina non vuole più importare.
E quindi, che fare? «Si tratta di affrontare un nodo che in questi anni è sempre stato un po’ rinviato, grazie alla disponibilità della Cina ad essere un mercato di sbocco abbastanza comodo per materiali che adesso, invece, dobbiamo farci carico di trattare a casa nostra. Con investimenti in ricerca, in tecnologia e in nuovi impianti. Forse – prosegue Fluttero – sarà la volta buona nella quale l’opinione pubblica europea, e italiana in particolare, accetterà l’idea che pure in presenza di ottime performance di riciclo, esistono frazioni che non possono essere trattate attraverso il recupero di materia, ma che per esempio possono essere avviate al recupero di energia. Non solo – conclude – bisognerà anche fare qualche termovalorizzatore in più per trattare i rifiuti da rifiuto, ovvero i rifiuti da selezione e da riciclo di rifiuto».