Altro che rivoluzione sostenibile: l’economia circolare è la vera Cenerentola del recovery plan all’italiana. Lo confermano i numeri del Piano nazionale di ripresa e resilienza che nella notte di ieri ha ottenuto l’atteso e travagliato via libera del governo. Perché se è vero che dei 222,9 miliardi complessivamente stanziati – 208 miliardi dal piano Next Generation Eu e 13 miliardi in risorse del piano di coesione React Eu – ben 68,9 risultano destinati alla missione “rivoluzione verde e transizione ecologica”, è altrettanto vero che tra le componenti della stessa missione, è proprio quella su “impresa verde ed economia circolare” ad essersi aggiudicata la fetta minore di stanziamenti: 6,3 miliardi. Cifre inferiori, considerando l’intero PNRR, sono andate solo alle componenti “intermodalità e logistica integrata” (3,68 miliardi) e “interventi speciali di coesione territoriale” (4,18 miliardi). Insomma nel Piano che, come si legge nell’introduzione, punta a «rendere l’Italia un Paese più sostenibile e inclusivo, con un’economia più avanzata e dinamica» al mondo dei rifiuti e della loro gestione circolare viene riservato uno spazio a dir poco marginale.
Scendendo nel dettaglio, dei già citati 6,3 miliardi, solo 1,5 risultano destinati «all’adeguamento degli impianti esistenti e alla realizzazione di nuovi impianti per la chiusura del ciclo dei rifiuti con la produzione di materie prime secondarie». Per gli addetti ai lavori ne servirebbero 10 volte di più. «Siamo ben lontani – hanno dichiarato in una nota congiunta FISE Assoambiente e Unicircular – dai 10 miliardi di euro di investimenti necessari solo per sanare il gap impiantistico del nostro Paese che ci obbliga ogni giorno ad esportare decine di migliaia di tonnellate di rifiuti che potremmo trasformare a livello nazionale in materia riciclata ed energia». Solo Lazio e Campania, stando all’ultimo Rapporto Ispra, nel 2019 hanno inviato a trattamento in altre regioni o in altre nazioni circa un milione 569mila tonnellate di rifiuti per mancanza di impianti. Sempre nello stesso anno il 21% dei rifiuti prodotti sul territorio nazionale è finito in discarica, lontano dal tetto massimo del 10% che l’Ue ci chiede di raggiungere entro il 2035. Numeri alla luce dei quali risulta davvero difficile credere che il miliardo e mezzo di euro destinato alla costruzione di nuovi impianti (unito ai 2,2 miliardi stanziati per un “progetto economia circolare” del quale però al momento non si sa praticamente nulla) possa davvero rendere l’Italia «protagonista del Green Deal europeo, secondo gli obiettivi indicati dalla Presidente Ursula Von der Leyen».
Ma a mancare, oltre ai fondi, è soprattutto la «visione strategica» e «la coesione necessaria a traguardare i bisogni delle future generazioni». Così ha scritto il Laboratorio Ref Ricerche in un position paper pubblicato ieri. «Per raggiungere il 65% di riciclaggio e la riduzione sotto al 10% della discarica entro il 2035 occorre realizzare gli impianti per il riciclo e accettare che tutto ciò che non può essere riciclato venga destinato alla produzione di energia e/o carburanti, unica reale alternativa per gli scarti del riciclo e per i rifiuti non differenziati, evitando il più impattante smaltimento in discarica». Obiettivi per raggiungere i quali, spiega Ref, è necessario «ridurre la produzione di rifiuto (sostenendo il deposito su cauzione, la vendita di prodotti sfusi, la tariffazione puntuale, eccetera), promuovere il riuso dei beni, gli impianti e le materie prime da riciclo, e tassare lo smaltimento in discarica», sostenendo al tempo stesso tutte le forme di recupero per i rifiuti che non sono riciclabili (Waste To Energy, Waste To Fuel, Waste To Chemical). Nulla di tutto questo però compare nelle 160 pagine del PNRR licenziato ieri da Palazzo Chigi.