A sette anni dall’avvio delle operazioni di rimozione delle ecoballe campane la crisi del commercio marittimo rallenta le spedizioni verso il nord Europa. Nel frattempo a Caivano il nuovo impianto ha già trasformato in combustibile le prime 20mila tonnellate di rifiuti impacchettati
La crisi del commercio marittimo esplosa con la ripresa dell’economia globale dopo lo stop della pandemia, ed esasperata nella seconda metà del 2021 dall’incagliamento della portacontainer Ever Given nel canale di Suez, ha pesato anche sui viaggi delle ecoballe finanziati dalla Regione Campania nell’ambito del piano straordinario di smaltimento avviato nel 2015. I congestionamenti che lo scorso anno hanno interessato le principali rotte degli scambi commerciali via mare non hanno risparmiato quelle sulle quali viaggiano i cubi di rifiuti urbani ‘made in Campania’, stivati nelle navi dirette verso gli attracchi di mezza Europa e di lì agli impianti di trattamento, prevalentemente inceneritori. Al porto di Delfzijl in Olanda, ad esempio, ne dovrebbero arrivare 30mila tonnellate, da smistare poi tra Paesi Bassi e scandinavia. Ma sui trasferimenti pende la spada di Damocle dei costi di spedizione, tanto che le operazioni, partite nel settembre del 2020, sono tuttora in corso, sebbene il contratto siglato con la Regione Campania dagli operatori responsabili della rimozione ne prevedesse il completamento entro e non oltre i 12 mesi dalla data di consegna delle attività. Nel frattempo i noli marittimi sono cresciuti anche del 600% rispetto al 2019, quando i lotti di ecoballe da rimuovere erano stati assegnati alle ditte private tramite gara d’appalto, al prezzo di circa 190 euro la tonnellata.
“Assistiamo a una crisi generalizzata dei costi legati ai trasporti” osservano dalla struttura di missione istituita presso la Regione Campania per l’attuazione del piano di rimozione dei rifiuti stoccati in balle e per il superamento delle sanzioni disposte dalla Corte di Giustizia Europea. Una crisi con ripercussioni sull’operatività delle imprese aggiudicatarie degli appalti per la rimozione dei cosiddetti ‘rifiuti storici’ (stoccati in alcuni casi anche per più di vent’anni), che per spedire via mare i lotti rimossi sono costrette a ricontrattare periodicamente le condizioni con broker e armatori, “talvolta anche ogni quattro mesi”, rilevano dalla struttura di missione. Mentre dall’altro lato l’eventuale rimodulazione del prezzo di smaltimento per tonnellata pagato dalla Regione deve rispondere ai vincoli delle normative nazionali sugli appalti e comunque non può alterare l’equilibrio economico del contratto. “Gli appalti che abbiamo in corso subiscono le schizofrenie del mercato – spiegano dagli uffici di Palazzo Santa Lucia – e le aziende impegnate, a loro volta, hanno bisogno di rendere economicamente sostenibile il proprio intervento sia rispetto agli impegni assunti con l’amministrazione regionale, sia rispetto ai propri interessi economici”. Da qui i ritardi dell’ultimo anno.
Ma l’ingolfamento post-covid del commercio marittimo, con la conseguente impennata dei prezzi, è solo l’ultima delle tegole abbattutesi negli anni sul piano straordinario di rimozione, lanciato nel 2015 dalla giunta regionale presieduta da Vincenzo De Luca e finanziato con 450 milioni di euro dal governo allora in carica. Un’operazione pesantemente condizionata dalle turbolenze che in tempi recenti hanno agitato il mercato dei rifiuti in Europa e nel mondo, come quelle innescate dallo stop della Cina alle importazioni di plastica e carta o l’aumento vertiginoso dei costi dello smaltimento legato al progressivo esaurimento delle capacità residue degli inceneritori sia in Italia che nei principali Paesi europei. Condizioni che in cinque anni, ultima complice in ordine di tempo la pandemia, hanno costretto la Regione a concedere proroghe che consentissero il proseguimento degli appalti, allungando anche di più di 24 mesi i termini di esecuzione dei contratti sottoscritti con le imprese appaltatrici per dare modo agli operatori di trovare di volta in volta nuovi sbocchi in giro per l’Europa a condizioni sostenibili. Il tutto “nell’ottica della tutela dell’interesse pubblico”, precisano dalla struttura di missione. A gravare ulteriormente sulla tempistica delle spedizioni l’immancabile corollario di intoppi burocratici, come la chiusura delle discariche ai rifiuti importati sancita dal governo portoghese nel 2020.
Il prezzo pagato alle imprese dalla Regione è passato nel frattempo dai 160 euro la tonnellata della prima gara a 200, più basso dei 240-260 euro a tonnellata che oggi servono per smaltire fuori Regione l’indifferenziato, “comunque ritenuto congruo anche dalle ditte che hanno aderito alle gare finora indette”, sottolineano dalla struttura di missione. Ma non è escluso che qualche azienda abbia potuto usare il blocco cinese prima o la crisi della logistica poi come mero pretesto per prendere tempo nel tentativo puro e semplice di trovare condizioni di mercato più vantaggiose. Ad ogni modo, seppur tra rallentamenti e perturbazioni, le operazioni di rimozione vanno avanti. Secondo i dati più aggiornati raccolti dalla struttura di missione, a fine 2021 risultavano rimosse circa 817mila tonnellate, mentre ne rimarrebbero da rimuovere altre 226mila. Considerando una media di 180 euro la tonnellata, ad oggi risultano spesi poco meno di 150 milioni di euro. Con quattro gare bandite nell’arco di sei anni, sono state appaltate complessivamente un milione 200mila tonnellate, ma per effetto della perdita di volume provocata dalla cristallizzazione della componente umida delle balle in molti siti di stoccaggio le quantità reali da rimuovere sono risultate inferiori a quelle inizialmente stimate, rendendo necessario adeguare i capitolati di gara.
Nel dettaglio, le prime due gare quotavano circa 880mila tonnellate e risultano concluse con la rimozione delle quantità effettivamente stoccate pari a circa 698mila tonnellate, mentre la terza, quella sulla quale ha pesato di più il rallentamento della logistica marittima, è stata aggiudicata nel settembre del 2019 ed è ancora in fase di esecuzione con 129mila tonnellate da trasferire su 248mila appaltate. Per la quarta gara, quella per la rimozione di 97mila tonnellate dagli stoccaggi di Fragneto Monforte in provincia di Avellino e Acerra, in provincia di Napoli, dalla Regione fanno sapere che si sta procedendo alla sigla dei contratti con le imprese e che i lavori di svuotamento, che dovrebbero partire a marzo, termineranno entro i prossimi 18 mesi. Se tutto va bene insomma ci saranno voluti circa otto anni per portare a termine i trasferimenti fuori Regione, prima fase di un piano il cui obiettivo, annunciato nel 2016 forse con eccessivo ottimismo, era quello di svuotare entro tre anni i principali siti di stoccaggio.
Potrebbero invece servire altri cinque anni per completare la seconda fase del piano regionale, quella più ambiziosa, che prevede la rimozione delle rimanenti 3 milioni di tonnellate di balle, che verranno ‘riprocessate’, ovvero riaperte e lavorate in due nuovi impianti, per recuperare materiali riciclabili e produrre combustibile da utilizzare in centrali elettriche e cementifici. “Il primo impianto – informano dalla struttura di missione – quello di Caivano, è ormai entrato a regime. Entro febbraio puntiamo a raggiungere il target delle prime 20mila tonnellate trattate”. L’obiettivo è trattarne 400mila all’anno, almeno per tre anni (fino al 2024), con una opzione per ulteriori tre anni che porterebbe tra 2026 e 2027 a 2,4 milioni le tonnellate complessivamente trattate. Per il secondo impianto, quello di Giugliano, al netto dei ritardi accumulati causa covid “contiamo di partire con la prima linea entro la tarda primavera” confermano. Anche qui nel primo anno si tratteranno 400mila tonnellate, con facoltà di rinnovo per altre 400mila. L’obiettivo è recuperare materia e produrre CSS, combustibile da rifiuto, che sarà avviato a recupero energetico in due centrali elettriche pugliesi, a Massafra e Manfredonia. Anche gli scarti di processo finiranno quasi tutti in discariche pugliesi. In gran parte estere invece le destinazioni del combustibile prodotto dall’impianto di Caivano.
A questo proposito, nei giorni scorsi un accordo di programma siglato tra Regione Campania, Città Metropolitana di Napoli e Sapna, la società ambientale dell’ex provincia, ha affidato a quest’ultima il compito di realizzare gli interventi di “caratterizzazione, classificazione, smassatura e trasporto” di 300mila tonnellate di ecoballe dal sito di stoccaggio in località Pascarola all’impianto di Caivano, e di 400mila tonnellate stoccate a Taverna del Re verso il futuro impianto di Giugliano. Il costo delle attività, stimato in circa 16 milioni di euro, “costituirà oggetto di compensazione di corrispondenti crediti che l’Ente di Santa Lucia vanta nei confronti della società metropolitana”. Insomma non graverà sul già citato budget da 300 milioni di euro a disposizione della Regione. Meglio così. La partita delle ecoballe, del resto, non è solo ambientale ma anche economica. Tanto più se si considera che ai costi dell’imponente piano di smaltimento ci sono da aggiungere quelli delle sanzioni da 120mila euro al giorno comminate dalla Commissione europea. Stando a uno screening della Procura di Napoli, nel 2020 risultavano già pagati all’Ue 151 milioni 640mila euro, mentre restavano ancora da versare circa 43 milioni per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020. La Regione, stabilirono nel 2015 i giudici della Corte di Giustizia dell’Ue, dovrà continuare a pagare fino a quando non si sarà dotata di un ciclo di gestione dei rifiuti moderno e autosufficiente, risolvendo una volta per tutte il nodo delle circa 5 milioni di tonnellate di ecoballe stoccate in più di venti siti provvisori. L’avvio dei due impianti, garantisce la Regione, darà la possibilità di tagliare la sanzione di almeno due terzi.