Crescono i comuni virtuosi in Campania, ma senza impianti e politiche di supporto all’economia circolare le buone pratiche, piuttosto che garantire benefici economici e ambientali per la collettività, rischiano di diventare solo un esercizio costoso. È Legambiente a lanciare l’allarme in occasione dell’EcoForum Rifiuti 2020. Sebbene crescano i comuni che hanno superato il 65% di raccolta differenziata, passati a 282 nel 2019, e aumentino anche i cosiddetti comuni “rifiuti free” – quelli che producono fino a 75kg/anno per abitante di materiale non recuperabile – che nel 2019 in Campania sono 107, la percentuale di differenziata resta ferma tra il 52 e il 53%, mentre la Regione continua a pagare la tassa più alta sui rifiuti, circa 419 euro all’anno contro una media italiana di 300 euro. «Il numero di comuni ricicloni e il dato regionale della raccolta differenziata hanno ormai un lentissimo incremento residuale nell’ultimo triennio. Il fondo Next Generation Eu e il Piano nazionale di ripresa e resilienza sono un’opportunità importante per il Mezzogiorno e la Campania per uscire dallo stallo. Stallo che restituisce l’immagine di un cerchio che non si chiude» spiega la presidente di Legambiente Campania Maria Teresa Imparato.
Ritardi quelli della Campania, frutto anche e soprattutto, dice Legambiente, della assenza per lungo tempo di una autorevole governance del ciclo di gestione, solo di recente oggetto di un intervento di riorganizzazione. «Abbiamo alle spalle decenni difficili – spiega Fulvio Bonavitacola, assessore all’ambiente della Regione Campania – l’emergenza rifiuti ha segnato in maniera indelebile l’immagine della Campania nel mondo, con conseguenze concrete come le sanzioni da 120mila euro che ci vengono comminate quotidianamente dall’Ue. Dal 2015 abbiamo voluto cambiare passo partendo dal processo di riorganizzazione della governance del ciclo con gli ATO. Un processo giunto a conclusione non senza ritardi e non senza che la Regione abbia in diversi casi minacciato il ricorso a poteri sostitutivi».
Impianti, prodotti, normative: queste per Legambiente le tre direttrici lungo le quali agire per chiudere il cerchio dei rifiuti in Campania, partendo dall’adeguamento della capacità di trattamento industriale degli scarti, non sufficiente a garantire la gestione dell’intera produzione regionale. Emblematico il caso della frazione organica dei rifiuti, che nel 2019 ha pesato per oltre 625 mila tonnellate, pari al 24% del totale della produzione di rifiuti, ma che solo in minima parte (siamo intorno al 10%) viene trattata sul territorio regionale, mentre tutto il resto finisce in altre Regioni, soprattutto in Veneto, con costi economici e ambientali esorbitanti, che vanificano gli sforzi delle amministrazioni locali e dei cittadini. «L’economia circolare non può esistere senza impianti – dice Maria Teresa Imparato – a partire da quelli di digestione anaerobica che trasformano la frazione organica della raccolta differenziata in biogas, biometano e compost. Impianti necessari per la transizione energetica e utili al settore agricolo».
Eppure costruire esperienze di successo si può, anche in Campania, come dimostra il caso della carta e del cartone, con una filiera nata e cresciuta proprio negli anni dell’emergenza che oggi arriva a riciclare il 5% dell’intera produzione nazionale di maceri. «Senza impianti – commenta Massimo Medugno, direttore generale di Assocarta – che siano tecnologicamente avanzati e capaci di garantire elevati standard di qualità non si fa economia circolare. Restano però ancora troppi gli ostacoli burocratici agli investimenti, soprattutto nelle procedure di rilascio delle autorizzazioni».
Per spingere gli investimenti in economia circolare, spiega l’associazione del cigno verde, serve però anche stimolare l’acquisto di prodotti realizzati con materiali riciclati, migliorando l’applicazione sul territorio regionale di uno strumento fondamentale come il Green Public Procurement, ancora oggi poco o male utilizzato dalle Pubbliche amministrazioni. «L’Italia si è dotata per prima di una legge che impone alle stazioni appaltanti pubbliche di rispettare i Criteri ambientali minimi – dice Imparato – ma è una legge ancora troppo poco conosciuta. La Regione Campania ha approvato le linee di indirizzo nazionale da qualche mese, ma oggi gli enti che rispettano in alcuni campi la normativa sono ancora poche decine. È necessaria una formazione rivolta ai dirigenti delle stazioni appaltanti che ancora conoscono poco questo indispensabile strumento per allargare i mercati dei prodotti sostenibili».
Ultimo tassello della strategia di Legambiente per chiudere il cerchio in Campania quello delle normative. «Chiediamo alla Regione l’adozione di una legge sull’economia circolare sul modello di quella adottata dall’Emilia Romagna nel 2015 – dichiara Maria Teresa Imparato – con obiettivi di riduzione della produzione dei rifiuti e di valorizzazione degli scarti. Anche la Campania può e deve dotarsi di uno strumento che può essere fondamentale per allineare la Regione ai nuovi, sfidanti obiettivi europei. Ma serve anche una legge che garantisca la partecipazione della cittadinanza ai processi decisionali, promuovendo informazione e trasparenza attraverso percorsi partecipativi per la lotta alle fake news che alimentano pregiudizi. Solo così sarà possibile recuperare la fiducia nell’azione politica e amministrativa, purtroppo ancora troppo poco trasparente nella gestione dei rifiuti».