In una lettera al ministro della Transizione Ecologica, Utilitalia, CIC e Assoambiente mettono nero su bianco le tre lacune dello schema di decreto per gli incentivi al biometano, che così com’è rischia di penalizzare gli investimenti in impianti di recupero dei rifiuti organici da raccolta differenziata
Tariffe inadeguate, normativa penalizzante, esclusioni dai meccanismi incentivanti delle quali “non si comprende la ratio”. I gestori di rifiuti bocciano la prima bozza di decreto ministeriale sugli incentivi al biometano. Nella sua formulazione attuale, il testo (messo a punto dal Ministero della Transizione Ecologica e inviato a Bruxelles per la verifica di compatibilità con le norme sugli aiuti di Stato) metterebbe infatti a rischio gli investimenti in impianti per la produzione di biometano da frazione organica dei rifiuti urbani, “principale driver per industrializzare la filiera, colmare il cronico deficit impiantistico (soprattutto al Centro-Sud) e chiudere a livello territoriale il ciclo di gestione dei rifiuti urbani”. A lanciare l’allarme sono Utilitalia, CIC e Assoambiente, con una nota congiunta indirizzata al ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani nella quale si sitgmatizzano le lacune dello schema di decreto ministeriale.
La lettera individua “tre diversi profili di criticità”, il primo dei quali “ben noto a codesto Ministero” si legge nella nota “riguarda le condizioni per dimostrare che il biometano prodotto da rifiuti organici negli impianti italiani rispetta i criteri di ‘sostenibilità’ definiti dalla direttiva 2018/2001/Ue”. Vale a dire la cosiddetta direttiva RED II, recepita solo pochi giorni fa dal governo e in attesa della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, che oltre a prorogare al 2026 gli incentivi al biometano ha innalzato al 65% la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra che il biometano destinato al settore dei trasporti dovrà conseguire per essere dichiarato ‘sostenibile’ (e quindi incentivabile), aggiornando contestualmente i valori standard di risparmio delle emissioni per il biometano prodotto da rifiuti organici. I nuovi parametri però, denunciava Utilitalia già a maggio 2020, non sarebbero applicabili alla tipologia impiantistica più diffusa sul territorio nazionale, ovvero quella che integra il ciclo anaerobico con quello aerobico. Criticità che, se non risolta, si legge nella nota, “rischia di compromettere la possibilità per chi produce biometano da rifiuti organici di accedere agli incentivi”.
Altro nodo da sciogliere l’esclusione dai meccanismi di incentivazione previsti dallo schema di decreto ministeriale delle riconversioni da biogas a biometano degli impianti alimentati a Forsu entrati in esercizio dopo il 31 dicembre 2022, facoltà che invece viene concessa al solo settore agricolo. “Non si comprende la ratio di questa scelta – si legge nella nota – che si ritiene fortemente penalizzante dell’intero settore nonché in grado di minare alle basi le possibilità del paese di raggiungere gli obiettivi nazionali in materia di gestione dei rifiuti fissati dalle direttive europee sull’economia circolare (i quali ovviamente non possono essere raggiunti dal solo settore agricolo)”.
Da ultimo le associazioni puntano il dito contro la tariffa incentivante, considerandola inadeguata a stimolare gli investimenti in nuovi impianti. “La strutturazione del meccanismo di incentivazione tariffaria rende la forbice dei valori di riferimento per gli impianti alimentati a Forsu (33-40 €/MWh) assolutamente inadeguata a sostenere gli investimenti necessari alla realizzazione di nuovi impianti”. Cosa che potrebbe ripercuotersi sui progetti da realizzare da qui al 30 giugno 2026, data di scadenza degli incentivi fissata dal decreto legislativo di recepimento della RED II. Secondo una stima di Utilitalia “si tratterebbe di compromettere definitivamente investimenti per 1,6 miliardi di euro e un potenziale di producibilità di biometano pari a 148 milioni di Sm3/anno“. Che potrebbero invece contribuire al raggiungimento dell’obiettivo fissato nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima di produrre almeno 1,1 miliardi di Sm3/anno di biometano entro il 2030, quantitativo sufficiente a coprire l’attuale consumo nazionale di metano nel settore dei trasporti.
“Se queste tre criticità non verranno affrontate e risolte quanto prima – scrivono le associazioni – gli investimenti fatti dagli operatori della gestione dei rifiuti, e soprattutto quelli programmati, verranno messi seriamente a rischio. Se ciò avverrà, il biometano producibile da rifiuti non potrà fornire quel contributo al raggiungimento degli obiettivi di economia circolare, decarbonizzazione e utilizzo di fonti energie rinnovabili, su cui lo stesso Piano nazionale integrato per l’energia e il clima e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza fanno affidamento”.