Un giacimento di energia verde che contribuisce alla decarbonizzione della nostra economia e alla lotta ai cambiamenti climatici. Ma anche un comparto d’eccellenza mondiale capace di creare occupazione e sviluppo sostenibile. È il biogas, ovvero il gas prodotto dalla digestione anaerobica delle biomasse agricole o urbane, che vede nella filiera italiana, riunitasi ieri e oggi a Roma nell’ambito del summit “Biogas Italy”, la seconda per grandezza in Europa e la quarta al mondo. «Il biogas non è una bioenergia come le altre – dichiara Piero Gattoni, Presidente del CIB, Consorzio Italiano Biogas – in quanto, se “fatto bene”, non solo produce energia rinnovabile e programmabile, ma diventa anche uno strumento essenziale per decarbonizzare le pratiche agricole correnti, rendendo concreta la prospettiva di un’agricoltura carbon negative. Tutto ciò è perseguibile grazie alla maggiore capacità produttiva del suolo e a pratiche agronomiche che favoriscono lo stoccaggio del carbonio nel terreno».
La filiera italiana del biogas, rappresentata dal marchio Biogasfattobene®, si è ormai affermata come best practice di rilievo internazionale e punta ad esportare il suo modello a tutte le latitudini. L’Argentina, ad esempio, potrebbe sostituire completamente le importazioni di gas naturale con biogas prodotto con il metodo Biogasfattobene®, mentre negli USA le potenzialità del Biogasfattobene® potrebbero superare del 20% quelle del gas di origine fossile. «Un impianto biogas – aggiunge Gattoni –, se connesso sia con la rete gas sia con la rete elettrica, diventa una piccola bioraffineria, flessibile e decentralizzata in grado di produrre biometano, elettricità, calore, fertilizzanti organici. Il greening della rete gas fa diventare la rete stessa un’infrastruttura che raccoglie energia rinnovabile dal territorio, la concentra, la accumula e la trasporta a costi competitivi. L’energia può essere usata dove e quando è più conveniente e nella forma più consona, come elettricità, carburante, combustibile per i fabbisogni di calore dell’industria».
Se il biogas italiano fa scuola nel mondo, il biometano, ovvero il prodotto di un processo di raffinazione del biogas detto “upgrading”, stenta invece a decollare, anche e soprattutto a causa di un quadro normativo poco chiaro. Eppure, secondo stime CIB, l’Italia sarebbe nelle condizioni di raggiungere una produzione di 10 miliardi di m3 di biometano al 2030, di cui almeno 8 da matrici agricole pari a circa il 15% dell’attuale fabbisogno annuo di gas naturale e ai due terzi della potenzialità di stoccaggio della rete nazionale. Uno studio presentato oggi dalla società di consulenza ambientale Althesis parte da questa stima per definire uno scenario al 2050, dove un potenziamento della produzione di biometano potrebbe evitare emissioni di CO2 per 197 mln di tonnellate. Lo sviluppo della filiera consentirebbe, inoltre, già entro il 2030, di creare oltre 21mila posti di lavoro e di generare un gettito tributario di 16 mld di € tra imposte sulle imprese e fiscalità di salari e stipendi. Le ricadute economiche complessive al 2030 si misurerebbero in 85,8 mld di €, di cui 17,7 mld € nell’uso elettrico, 15 mld € nel settore dei trasporti e 53,1 mld € grazie all’immissione nella rete.
«È evidente che il nostro Paese si trova ad avere una risorsa verde d’inestimabile valore – conclude Gattoni – per questo chiediamo che venga sostenuta in modo adeguato: le nostre aziende hanno bisogno di un quadro normativo chiaro e definito per poter effettuare gli investimenti necessari a introdurre nelle loro attività le tecnologie più performanti e più sostenibili a disposizione sul mercato. Il varo del decreto biometano, ad oggi ancora in fase di valutazione da parte della Commissione UE, potrebbe gettare le basi per una forte crescita del nostro comparto e consentire alle nostre aziende di velocizzare il processo di decarbonizzazione dell’economia nazionale, nel rispetto degli impegni presi con gli Accordi di Parigi».