Potrebbero tornare a operare già da martedì 17 i 100 e più impianti di autodemolizione e recupero rottami di Roma che dallo scorso primo luglio sono stati costretti ad interrompere le proprie attività per il mancato rinnovo delle autorizzazioni da parte del Comune. Dopo giorni di proteste, colloqui infruttuosi e disperazione. per gli “sfasci” romani ecco aprirsi finalmente uno spiraglio di speranza. Comune e Regione sarebbero infatti disposti a sedersi a un nuovo tavolo di trattativa con gli operatori e le varie associazioni di categoria. Tre gli obiettivi: l’individuazione, anche su proposta degli operatori, di altre aree da destinare agli impianti da delocalizzare in quanto collocati in zone non idonee; l’identificazione di uno strumento giuridico che consenta loro di tornare a operare già da martedì 17 luglio, in attesa dell’effettivo spostamento; il ritorno all’operatività fino alla conclusione dell’iter di approvazione anche per quegli impianti che hanno avviato la procedura di autorizzazione.
La vicenda, vale la pena ricordarlo, risale al 1997, quando con un accordo di programma si stabilì di spostare fuori dal perimetro del raccordo anulare le imprese di autodemolizione e recupero di rottami di Roma operanti in aree della città ritenute non più idonee, perché troppo vicine ai centri abitati, a zone di interesse paesaggistico o naturalistico o a vocazione agricola. Un piano che nessuno però ha mai messo in atto. Le 100 e più imprese individuate operano da allora in una sorta di limbo amministrativo sulla base di autorizzazioni provvisorie rilasciate a singhiozzo. Dallo scorso primo luglio, data dell’ultima scadenza delle autorizzazioni provvisorie, il Comune di Roma ha però scelto di non rinnovare i permessi, costringendo alla chiusura più di cento impianti.
Lo scorso marzo infatti il Campidoglio aveva chiesto alle imprese di presentare progetti definitivi in grado di assicurare la tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini. Un autentico paradosso burocratico, visto che le aree che ospitano gli impianti sono state dichiarate non a norma ormai da più di vent’anni e che quindi nessun progetto avrebbe mai potuto essere approvato. A stabilirlo sono stati addirittura i giudici del Tar, a valle dei ricordi presentati dalle aziende. Lo scorso primo luglio, tuttavia, è arrivato il tanto temuto blocco degli impianti. Un incubo per le decine di lavoratori costretti a rimanere a casa, che ad una settimana di distanza dal blocco, tornano però finalmente a vedere la luce in fondo al tunnel.
“Nei prossimi 8-10 giorni – commenta Anselmo Calò, Presidente ADA – si dovrebbe quindi trovare una soluzione alla situazione di empasse che vivono sia i 100 impianti presenti nella Capitale, sia i cittadini che già da 10 giorni non possono demolire i propri veicoli fuori uso. Dopo l’incontro odierno siamo moderatamente soddisfatti e auspichiamo che dalla collaborazione tra Comune e Regione venga fuori una soluzione definitiva che ponga fine a una situazione di incertezza che si proroga da oltre 20 anni e che costringe il settore a operare in condizione di costante precarietà, a cui ora si sta aggiungendo anche il disagio per i cittadini che non possono demolire i loro veicoli fuori uso”.