Interessante ma migliorabile. Questo in sintesi il giudizio espresso dal neonato Tavolo Interassociativo Recupero e Riciclo (TAIRR) sulla bozza di decreto, diffusa nei giorni scorsi dal Ministero dell’Ambiente, sui criteri di assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani. Il provvedimento, atteso ormai da vent’anni dagli operatori di settore, punta a stabilire il confine tra l’ambito del servizio di raccolta rifiuti svolto in privativa dalle amministrazioni locali e l’ambito in cui, invece, i produttori di rifiuti da attività produttive e commerciali sono liberi di rivolgersi al mercato. In sua mancanza, denunciano le cinque sigle aderenti al TAIRR, Assorecuperi, Assorimap, Assosele, FISE Assoambiente e FISE UNIRE, «ingenti quantitativi di rifiuti di provenienza commerciale e industriale vengono sottratti al libero mercato per essere gestiti in regime di esclusiva da pubbliche amministrazioni. Situazione, questa, che impedisce di fatto il corretto, trasparente ed effettivo contenimento dei costi della gestione dei rifiuti, che ricadono immancabilmente su imprese e cittadini».
Sebbene la bozza di decreto identifichi con chiarezza alcuni limiti all’assimilazione, escludendo i rifiuti speciali che si formano nelle aree produttive (compresi i magazzini) e gli imballaggi per il trasporto e imponendo ai Comuni il divieto di assimilare determinate attività commerciali (come negozi, supermercati, ipermercati) che superino specifiche soglie dimensionali stabilite in base alla superficie, secondo i componenti del TAIRR «è necessario che queste soglie siano fissate per tutte le categorie di attività produttrici di rifiuti speciali previste dal decreto e a prescindere dal metodo di misurazione dei rifiuti utilizzato dal Comune (sistema di misurazione presuntivo o puntuale)». Il rischio, secondo gli operatori della “circular economy” nostrana, è che le categorie di attività per cui non è previsto un limite dimensionale vengano automaticamente assimilate e soggette alla tassa sui rifiuti urbani, «indipendentemente dal fatto che si avvalgano o meno del servizio pubblico. Questo comporterebbe una palese violazione del principio comunitario “Pay As You Throw” (PAYT) ossia “paga per quello che butti”».
«Non si tratta qui di escludere dal pagamento della tassa superfici che usufruiscono di servizi comuni quale ad esempio la pulizia stradale: i produttori di rifiuti speciali non assimilati continueranno comunque a pagare questi servizi attraverso una quota della tariffa, ove la legge lo preveda – sostengono i rappresentanti delle associazioni del TAIRR – si tratta piuttosto di far valere un principio di giustizia, di equità e di concorrenza, poiché oltre la soglia quantitativa il Comune può comunque, già ora, offrire il servizio anche a questi utenti, ma deve farlo in convenzione, ossia in un rapporto di natura privatistica, in competizione con gli altri operatori presenti sul mercato». Le osservazioni dei membri del TAIRR fanno da contraltare a quelle formulate nei giorni scorsi dall’Anci. Al microfono di Ricicla.tv il delegato rifiuti Ivan Stomeo aveva infatti mosso dure critiche nei confronti del provvedimento, sostenendo che la sua entrata in vigore rischierebbe di tradursi «in un buco nelle casse comunali di circa 1.8 miliardi di euro, finanziabili esclusivamente tramite aumento delle tariffe in tutti i Comuni italiani dal 20 al 60%, con ricadute molto pesanti sui bilanci delle famiglie».