Acqua, il centro sud è in crisi ma solo Puglia e Toscana riutilizzano quella depurata

di Redazione Ricicla.tv 02/09/2024

Secondo SNPA solo il 4% del volume delle acque reflue depurate in Italia è destinato al riutilizzo, e quasi esclusivamente al nord. Nelle regioni del centro-sud, quest’anno le più colpite dall’emergenza siccità, solo Puglia e Toscana hanno attivato sistemi di riuso in agricoltura. Nel frattempo si attende il decreto attuativo della nuova disciplina europea, che dovrà essere pubblicato entro il 31 dicembre


Mentre l’estate volge al termine, l’Italia continua a fare i conti con i sempre più endemici fenomeni di siccità prolungata, che quest’anno hanno colpito duramente soprattutto le regioni centro meridionali: Abruzzo, Basilicata, Puglia e Sardegna, unite alla Sicilia che da mesi ormai è rimasta a secco, sono tutte alle prese con la scarsa disponibilità della più preziosa delle risorse e i contraccolpi economici, ambientali e sociali che questa sta determinando. Contraccolpi che, soprattutto in agricoltura, potrebbero essere tamponati utilizzando meglio le acque reflue depurate. Eppure, a eccezione della Puglia, a oggi nessuna delle regioni sopra citate risulta avere attivato modalità di riutilizzo. E la situazione cambia di poco se si allarga lo sguardo all’intera penisola, come ha fatto il Sistema Nazionale di Protezione Ambientale in un report pubblicato nei giorni scorsi, stando al quale in Italia solo il 4% del volume totale dei reflui depurati risulta effettivamente destinato al riutilizzo e quasi esclusivamente a nord.

“Nonostante i benefici connessi con il riutilizzo dei reflui e i molteplici possibili impieghi delle acque reflue depurate, non risulta che ci sia stata una adeguata diffusione della pratica a livello nazionale”, scrive SNPA, ricordando che “il ricorso al riutilizzo dei reflui urbani depurati e affinati, concepito come un approvvigionamento di risorsa idrica alternativo all’emungimento di acque sotterranee (da pozzi) o al prelievo da quelle superficiali, consente di ridurre le pressioni di tipo quantitativo esercitate sui corpi idrici e/o di compensarne le ridotte disponibilità”. Con benefici soprattutto in agricoltura, dove l’Italia continua a detenere il secondo posto in Europa (dopo la Spagna) per superficie irrigua, pari a 2,4 milioni di ettari, con una media di 4.666,1 metri cubi d’acqua per ettaro. Che in totale fanno più di undici miliardi di metri cubi utilizzati ogni anno per irrigare, in un paese che ha nell’agroindustria uno dei comparti di punta della propria economia ma che al tempo stesso è anche hotspot del cambiamento climatico. E quindi sempre più esposto a eventi meteorici estremi e prolungati periodi di siccità che danneggiano terreni e colture.

Sono solo otto, tuttavia, le amministrazioni territoriali che contano almeno una modalità di riutilizzo, tra irriguo, industriale o civile: Piemonte, Lombardia, Trento, Bolzano, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana e Puglia. Il riutilizzo in agricoltura rappresenta di fatto la modalità più diffusa, spiega SNPA, mentre in misura minore le acque vengono destinate a impieghi di tipo civile, come il lavaggio stradale, e industriale, soprattutto per il raffreddamento dei macchinari. Tra i casi di studio quello del depuratore di Milano Nosedo, che tramite sistemi a pompaggio e gravità distribuisce acqua depurata e affinata a un’area di 3mila ettari coltivata a cereali, e quello di Guardamare, in provincia di Livorno, dal quale le acque affinate vengono inviate mediante condotta lunga alcuni chilometri all’immissione in un laghetto di raccolta di acque naturali. Nel solo 2022, si legge, sono stati riutilizzati 125mila metri cubi di acqua depurata mentre in Emilia-Romagna l’impianto di Mancasale arriva a recuperare fino a 6 milioni di metri cubi l’anno. Al sud solo la Puglia si è dotata di un sistema di riutilizzo, con la creazione a Fasano, in provincia di Brindisi, di un invaso di raccolta da 50mila metri cubi, perfettamente integrato nell’ecosistema naturale che circonda l’impianto di depurazione, e una rete di distribuzione da 30 km che attualmente serve 48 utenze, tra frutteti, uliveti e terreni coltivati a ortaggi.

Casi virtuosi, che restano però isolati. A ostacolare la diffusione di buone pratiche di riutilizzo su scala nazionale, scrive SNPA, oltre alle immancabili barriere socioculturali c’è soprattutto l’incognita sulla copertura dei costi: quelli legati all’affinamento delle acque trattate (generalmente più ‘care’ delle acque prelevate in natura) ma soprattutto quelli per la realizzazione delle reti per l’adduzione e distribuzione in ambito agricolo. Resta poi la vetustà del quadro normativo e amministrativo di riferimento, rappresentato dal dm 185 del 2003, risalente ormai a più di venti anni fa. Su quest’ultimo fronte, tuttavia, lo scenario è in profonda trasformazione. Dopo il via libera dell’Ue al nuovo regolamento sul riutilizzo, adottato nel maggio 2020 e applicabile dal 26 giugno 2023 (che di fatto ha già superato il dm 185) è ormai prossimo alla pubblicazione il decreto del Presidente della Repubblica che una volta in vigore dovrà dare attuazione alla nuova disciplina europea armonizzandola con le norme nazionali.

“Tale decreto – si legge nel dossier di SNPA – è orientato a regolamentare il riutilizzo delle acque reflue per molteplici scopi. In particolare, non solo sono contemplati gli usi irrigui, industriali e civili”, come nel dm 185, “ma sono inclusi anche gli usi ambientali. A seconda delle destinazioni d’uso, il nuovo dpr, scrive SNPA, “definisce obiettivi di qualità delle acque, frequenze e modalità di monitoraggio”. Obiettivi che, uniti alle tempistiche per il rilascio delle autorizzazioni, sono già stati introdotti, in via emergenziale e transitoria, con il decreto siccità dell’aprile 2023, poi successivamente prorogati fino all’entrata in vigore del nuovo dpr “e comunque non oltre il 31 dicembre 2024”. A meno di nuove proroghe, impossibili da escludere con assoluta certezza, restano insomma poco più di tre mesi per licenziare in via definitiva il dpr di attuazione del regolamento europeo e dare nuovo slancio alla gestione sostenibile e circolare delle acque reflue su tutto il territorio nazionale.

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