La bagarre delle ultime settimane sugli importi della tassa rifiuti, indebitamente gonfiati da molti comuni – così come certificato dal Ministero delle Finanze – è l’occasione giusta per fare il punto sul sistema di finanziamento del servizio pubblico di igiene urbana nel nostro Paese. Un sistema tutt’altro che amico dell’ambiente. «Noi abbiamo un sistema di finanziamento che si basa ancora per larghissima parte sulla tassa e non sulla tariffa puntuale – dice Alessandro Marangoni, ceo di Althesys, società di consulenza specializzata nel settore ambientale – e che quindi possiamo dire che non è amico dell’ambiente, non favorisce la raccolta differenziata e quindi il riciclo dei materiali perché non mette in relazione la produzione dei rifiuti con l’onere che sostengono i cittadini. Anche da questo punto di vista il sistema va in qualche modo ripensato».
Un primo passo in questa direzione potrebbe venire con l’approvazione della Legge di Stabilità 2018, che prevede l’attribuzione all’attuale Aeegsi (Autorità per l’energia elettrica il gas ed il sistema idrico), delle competenze in materia di regolazione del ciclo dei rifiuti. L’organismo prenderà il nome di Arera (Autorità di regolazione per energia e reti e ambiente) e tra le altre cose dovrà garantire, si legge nel testo, “un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, promuovendo la tutela degli interessi di utenti e consumatori”, armonizzando “gli obiettivi economico-finanziari dei soggetti esercenti il servizio con gli obiettivi generali di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse“.
Un chiaro riferimento alla necessità di collegare gli importi delle tariffe al costo effettivo del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, premiando al tempo stesso i comportamenti virtuosi di cittadini e amministratori locali. Di lavoro da fare, del resto, ce n’è tanto. Stando all’ultimo dossier rifiuti urbani dell’Ispra, infatti, nel 2016 solo 223 comuni dei quali ben 221 al Nord e nessuno al Sud hanno applicato la tariffa puntuale. Quella cioè che commisura l’onere economico per il cittadino e per le attività produttive alla quantità di rifiuti effettivamente prodotta e conferita ai servizi di raccolta. “Pay as you throw”, insomma, ovvero “paga solo quello che butti”. A differenza della Tari, modulata sulla superficie calpestabile degli immobili suscettibili di produrre rifiuti e quindi indipendente dal comportamento più o meno virtuoso del singolo contribuente.
Un sistema, quello puntuale, che associa ai benefici ambientali quelli economici. Se infatti, si legge nel rapporto, nel 2016 il valore medio pro capite della Tari a livello nazionale e risulta pari a 218,31 € (più 0,6% rispetto al 2015) l’analisi dei dati sui comuni a tariffa puntuale rivela ad esempio che nella regione Piemonte il costo totale medio pro capite risulta pari a 144,37 euro, in Lombardia a 112,18 euro per abitante all’anno e in Trentino Alto Adige a 145,19 euro. Particolarmente basso risulta essere, in analogia con l’indagine condotta nell’anno 2015, il costo totale medio pro capite nella Regione Veneto, dove si registra un valore addirittura pari a 95,77 euro all’abitante per anno.
Con la speranza che la pubblicazione nella scorsa primavera del decreto del Ministero dell’Ambiente contenente i criteri tecnici, mai fino ad allora disciplinati, per la realizzazione dei sistemi di misurazione puntuale delle quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico possa spingere sempre più comuni a passare alla tariffa corrispettiva, abbandonando la vecchia Tari di stampo patrimoniale. «Il nuovo decreto ministeriale fornisce indicazioni preziose per la definizione della parte variabile della tariffa – spiega Gaetano Drosi, presidente di Payt Italia – e potrebbe far fare a tutto il territorio italiano un salto in avanti nell’applicazione del metodo puntuale. I comuni che hanno adottato questa metodologia finora sono pochissimi, quindi è necessario che idee e stimoli vengano soprattutto da parte della della politica. Del resto la tariffa puntuale introduce nel servizio fornito ai cittadini il principio dell’equità. Da questo punto di vista è giusto che la sua applicazione venga percepita come un obbligo da parte dei comuni e delle aziende pubbliche».