Incentivare la rottamazione per favorire il rinnovo del parco veicolare del Paese, è un aiuto di Stato lodevole. Una misura a favore dell’ambiente. Lo è meno se esso viene concesso indistintamente a chi il veicolo lo distrugge e a chi il veicolo invece lo esporta all’estero. In quest’ultimo caso infatti, esportare significa spostare oltre confine la fonte di inquinamento, contravvenendo alle norme più semplici di tutela ambientale, valide su scala internazionale.
È sostanzialmente questa la motivazione con la quale la Terza Sezione del Tar Lazio, con sentenza del 7 settembre 2017, accoglie il ricorso di Aira, l’Associazione dei Frantumatori Italiani, contro il Ministero dei Trasporti che, con dm del 7 luglio 2016, aveva stabilito l’ammontare degli incentivi e le modalità di erogazione, a quanti favorissero la rottamazione dei veicoli giunti a fine vita. «Abbiamo vinto una battaglia a favore dell’ambiente» spiega Mauro Grotto, presidente Aira, che si dice tuttavia rammaricato per averla combattuta senza il sostegno dell’intera filiera. «I demolitori – dice – hanno preso le distanze dalla nostra scelta di impugnare il decreto ministeriale, forse perché essi stessi coinvolti nel business delle esportazioni, o forse per non inimicarsi le case costruttrici/concessionari per le quali l’esportazione dei veicoli usati, è un’importante voce di bilancio».
A suffragare l’ipotesi dei frantumatori, il fatto che nella memoria difensiva dell’Avvocatura dello Stato, ci sia un passaggio che fa espresso riferimento al fatto che le principali associazioni delle case costruttrici italiane e straniere, abbiano partecipato ai tavoli ministeriali aperti per stabilire gli importi degli incentivi da elargire per la rottamazione. La battaglia di Aira, è passata attraverso varie interrogazioni parlamentari che sposavano le motivazioni del ricorso. Poi la sentenza grazie alla quale l’Italia dice “stop” all’esportazione di inquinamento.
«Inoltre – dice soddisfatto Grotto – l’industria siderurgica è salva. Se il Paese avesse continuato a prediligere la via dell’esportazione a quella della demolizione, la nostra industria avrebbe dovuto affacciarsi su mercati esteri piuttosto che sfruttare quello interno per approvvigionarsi dei rottami e ricavarne materia prima seconda. Dunque – chiosa il presidente – non è solo la vittoria di Aira, ma è quella di un pezzo di industria, di migliaia di posti di lavoro e dell’ambiente».