Dal Molise alla Grecia: ecco le rotte del turismo dei rifiuti urbani

di Luigi Palumbo 02/11/2023

Tra organico e indifferenziato, nel 2021 quasi 3,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani sono statI trattatI fuori dalla Regione di produzione. Campania e Lazio prime per quantità esportate, ma in classifica c’è anche l’Abruzzo. Che dice ‘no’ agli inceneritori e poi manda i suoi rifiuti in Molise o all’estero


Nel 2021 quasi tre milioni e mezzo di tonnellate di rifiuti urbani, tra organico da raccolta differenziata e residui non riciclabili, sono stati trattatI in una regione diversa da quella di produzione o addirittura fuori dai confini nazionali. I dati dell’ultimo rapporto Ispra tornano a incoronare l’Italia ‘regina’ del turismo dei rifiuti urbani. Un Paese attraversato da nord a sud (più spesso da sud a nord), da est a ovest e viceversa da centinaia di migliaia di tonnellate di scarti, che caricati su camion, treni e navi partono dal luogo di produzione e viaggiano verso gli impianti di qualcun altro. Qualche volta, chiarisce Ispra, spediti per una questione di prossimità “in impianti localizzati al di fuori del proprio territorio, ma che risultano meno distanti di quelli localizzati nella propria regione”. Molto più spesso, però, i rifiuti viaggiano “a causa di carenze strutturali”. Tant’è che a muoversi sono soprattutto la frazione organica da raccolta differenziata e i residui non riciclabili da incenerire o smaltire in discarica, ovvero le frazioni per le quali l’Italia, complici sindromi NIMBY e NIMTO, sconta una minore dotazione di impianti. Con carenze ormai croniche in Regioni come Lazio e Campania. O come l’Abruzzo, che dice ‘no’ alla costruzione di nuovi inceneritori e poi manda i suoi rifiuti in Molise. O all’estero.

Del milione 988mila tonnellate di frazione organica trattata fuori regione, le quote maggiori spiega Ispra derivano proprio dalla Campania (490 mila tonnellate, pari al 24,7% del totale) e dal Lazio (285 mila tonnellate, pari al 14,3% del totale), “entrambe carenti di infrastrutture adeguate ai quantitativi prodotti sul proprio territorio”. La Toscana ha conferito fuori regione oltre 215mila tonnellate, mentre la Sicilia ha più che raddoppiato le quantità esportate, passate da 40 a 91mila tonnellate, segno che cresce la raccolta differenziata ma non il numero di impianti. E così una buona parte dell’organico raccolto sull’isola è stato spedito via mare in Sardegna e Calabria, e da qui su gomma anche più su, in Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna. Con tutte le difficoltà che derivano, soprattutto nei mesi caldi dell’anno, dal far viaggiare materiale ad alto tasso di putrescibilità stipato in decine se non centinaia di cassoni scarrabili, container e rimorchi. Prima Regione per quantità di rifiuti organici importati si conferma il Veneto (595mila tonnellate, pari al 29,7% del totale) seguito dalla Lombardia (oltre 523mila tonnellate, 26,1% del totale).

Se i rifiuti urbani avviati a recupero di materia, al pari dei rifiuti speciali, possono viaggiare in deroga al principio di autosufficienza regionale, quelli da smaltire in discarica o da incenerire dovrebbero restare nell’ambito territoriale ottimale (o almeno nella regione) dove vengono prodotti e raccolti. Almeno in teoria, visto che basta farli passare per un impianto di trattamento intermedio et voilà, problema risolto: lo status cambia da urbano a speciale e via libera ai viaggi su e giù per il Paese in cerca di spazio negli impianti degli altri. Un gioco di prestigio censurato anche dalla Corte di Giustizia europea, ma ancora molto in voga nel nostro Paese. Tant’è che a livello nazionale oltre 555mila tonnellate prodotte da impianti TMB sono state spedite fuori regione per essere incenerite, e quasi altrettante (552mila) sono finite invece in discarica. Destinazione principale per l’incenerimento la Lombardia, che nei suoi 13 impianti ha importato 347mila tonnellate provenienti soprattutto dal Piemonte (oltre 106mila tonnellate), dal Lazio (103mila tonnellate), dalla Campania (quasi 58mila tonnellate) e dalla Puglia (circa 22mila tonnellate), che di impianti ne hanno invece tutte uno a testa. Singolare l’andamento dei flussi in Emilia-Romagna, che è la seconda importatrice di rifiuti da incenerire (19mila tonnellate dalla Campania, 15mila dalla Liguria e oltre 13mila dalla Toscana), ma anche la prima per quantità esportate verso le discariche altrui (100mila tonnellate), seguita da Lombardia (circa 98mila tonnellate), Lazio (89mila tonnellate), Piemonte (80mila tonnellate), e Campania (circa 54mila tonnellate).

Il ‘maquillage’ da urbani a speciali non basta tuttavia a garantire che l’intera quota di residui non riciclabili prodotta dai TMB – tra frazione secca, umida e combustibile solido secondario (CSS) – trovi collocazione sul territorio nazionale. Gli spazi liberi negli inceneritori o nelle discariche, quando ci sono, costano un occhio della testa e la domanda degli impianti che potrebbero usare il CSS in coincenerimento, come i cementifici, non decolla. E così non resta che guardare al mercato estero, valvola di sfogo fondamentale per la Campania, che nel 2021 ha inviato più di 250mila tonnellate di scarti prodotti dai sette TMB regionali in almeno otto Paesi diversi in giro per l’Europa, dall’Austria alla Svezia, dalla Spagna alla Grecia passando per la Danimarca. Il Lazio, che nel 2021 ha esportato oltre 98mila tonnellate di rifiuti urbani, ha spedito più di 62mila tonnellate di CSS in Portogallo e a Cipro, ma anche 11mila tonnellate di frazione umida in discarica in Ungheria.

Alle spalle di Campania e Lazio, decane del turismo dei rifiuti, c’è l‘Abruzzo, che ha un quinto dei loro abitanti, fa il 64% di differenziata ed è tra le Regioni con la minore produzione pro capite (di meno solo Calabria e Molise), ma curiosamente è anche terza per quantità esportate, avendo spedito a incenerimento all’estero circa 48mila tonnellate di CSS, da sommare alle 26mila inviate in Molise. Scelta obbligata, per una Regione che vuole tagliare lo smaltimento in discarica, ancora al 34%, ma non ha inceneritori né tanto meno vuole costruirne. Nel 2020 il consiglio regionale lo ha anche messo nero su bianco in una legge ad hoc, approvata per ribadire “la volontà – si legge nel provvedimento – di non prevedere la realizzazione di impianti dedicati di incenerimento per i rifiuti urbani”. Poi a luglio dello scorso anno una sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la legge e più o meno negli stessi giorni il Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti, adottato dal Ministero dell’Ambiente in attuazione del PNRR, ha concesso a tutte le Regioni 18 mesi di tempo per rivedere i propri piani e adeguarli ai principi di autosufficienza e prossimità. È ancora presto per dire se questo segnerà la fine del turismo dei rifiuti. Di sicuro è un invito a mettere da parte una volta per tutte giochi di prestigio e opportunismi politici.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *