Cosa impedisce di incrementare il tasso di riciclo del palladio passando per un maggiore accesso ai catalizzatori fuori uso per i riciclatori europei? La risposta sta (anche) nei limiti di alcuni “recinti normativi”. Di cosa stiamo parlando? Andiamo con ordine.
La commissione ambiente dell’Unione Europea alla vigilia del voto sul pacchetto economia circolare, durante un workshop tenutosi a fine gennaio e dedicato al sostegno per quel che sarà il mercato delle MPS nel nuovo sistema, ha analizzato una serie di casi studio che hanno portato all’attenzione dei membri dell’europarlamento i problemi reali dell’economia del riciclo.
Dagli atti del workshop, pubblicati solo di recente, sono emersi alcuni elementi generici (come il ruolo delle PMI per sviluppare il riciclo che lavora per prodotti di nicchia o la necessità di trasparenza e di informazioni sempre più precise per supportare i settori del riuso e del riciclo) e altri estremamente più specifici (come il caso studio dei finanziamenti della Finlandia per lo sviluppo di una roadmap verso la Circular Economy). Tra i problemi strutturali più diffusi resta il tema dei ritardi nell’assorbimento della normativa Ue talvolta lacunoso, talvolta in conflitto con le leggi nazionali: a supporto della presentazione è stato riportato uno studio dello scorso anno (luglio 2016) in cui si determinavano i primi dieci materiali per cui gli ostacoli burocratici e normativi risultano delle vere e proprie barriere al recupero (e quindi al mercato) di materia prima seconda. Sia lo studio Technopolis del 2016 che il recente workshop alla Commissione Europea hanno evidenziato come in cima ai materiali da recuperare più “ostacolati” ci sia proprio il palladio dei catalizzatori delle automobili.
Il palladio fa parte dei “Platinum Group Materials” (PGM) (rari e preziosi in natura e di cui come spesso accade l’Europa è sprovvista dipendendo in larghissima misura dalle importazioni, principalmente da Russia, SudAfrica, Canada, Stati Uniti e Zimbabwe) ed è tra i principali componenti dei catalizzatori dei veicoli permettendo la conversione dei carburanti in sostanze meno dannose: il 51% della domanda di PGM nel 2010 era originata da questo segmento produttivo.
Quando i veicoli raggiungono il “fine vita” e restano tracciati nei Paesi dell’Unione Europea, la normativa garantisce che i catalizzatori vengano separati dal veicolo e il palladio, insieme agli altri materiali preziosi, venga recuperato per essere utilizzato nella produzione di nuovi convertitori evitandone lo smaltimento (dato il suo alto valore economico). In più le attuali tecnologie permetterebbero un riciclo di questa materia che si avvicina al 100%, ma il tasso di recupero in Ue continua ad aggirarsi attorno al 60 – 70%, a sua volta in grado di rispondere alla domanda di mercato soltanto per il 28%. In altre parole la produzione di oltre il 70% dei nuovi catalizzatori richiede ancora estrazione di materia vergine, mentre le stime dicono che un recupero del 100% delle PGM permetterebbe – sempre restando tra i confini dell’Unione Europea – di aumentare l’offerta di palladio riciclato fino a coprire il 60% della domanda complessiva.
La prima causa che allontana l’Unione dalla “quota 100” sta ovviamente in quei veicoli che vanno a finire in Paesi extracomunitari. Questi traffici sono un problema atavico per il ciclo di recupero dei veicoli a fine vita, come dimostra il caso italiano, e nascondono spesso fini illeciti, in quanto si fa passare per usato un veicolo fuori uso che invece di essere venduto come tale viene smontato per ricavarne ricambi da rivendere più o meno legalmente (magari facendoli rientrare in Ue), ma soprattutto senza la tracciabilità e gli standard ecologici previsti dall’Unione Europea. Sì rischia così di far finire in discarica i vecchi catalizzatori, e conseguentemente anche di rendere irrecuperabile il prezioso palladio. Basti pensare che ogni anno l’export di veicoli (non solo di quelli usati o a fine vita) fa uscire dall’Ue metalli preziosi per 115 milioni di euro di sola materia contenuta dai catalizzatori. Il ritardo del legislatore, in questo caso, secondo l’analisi di Technopolis starebbe nel non aver saputo dare una definizione di “End of Life Vehicle” che sia certificabile e chiaramente distintiva rispetto a quella di “veicolo usato”. Ma le criticità non finiscono qui, e dimostrano come il palladio si presti ad essere un caso di studio in grado di fungere da cartina tornasole di vari altri rifiuti. In primis la classificazione del palladio come rifiuto pericoloso (secondo la convenzione di Basilea) insieme a degli standard di gestione non uniformi tra i vari Paesi Membri, rende l’accesso dei riciclatori a questo materiale non sempre agevole. Inoltre il sistema di tracciabilità lungo la filiera è poco trasparente e rende difficile per i controllori la raccolta dati necessaria a tamponare le potenziali perdite di materia preziosa causate da un trattamento improprio.