Crescono la raccolta differenziata e il riciclo dei rifiuti urbani e diminuisce lo smaltimento in discarica. Anche nel 2021 l’Italia resta in linea con gli obiettivi europei, scrive Ispra nell’ultimo rapporto annuale, ma per centrarli e tagliare il turismo dei rifiuti servono nuovi impianti, soprattutto al Centro-Sud
Superato l’anno più duro della pandemia, segnato da chiusure e lockdown, l’Italia è ripartita e con lei anche la produzione dei rifiuti urbani che nel 2021 è tornata a crescere sfiorando i 30 milioni di tonnellate (29,6) e facendo segnare un +2,3% sull’anno precedente. Un incremento pari a un terzo di quello del PIL, cresciuto del 6,7%. Segno che il disaccoppiamento tra crescita economica e generazione dei rifiuti, sebbene lontano dal dirsi pienamente compiuto, si fa sempre più strada nei modelli italiani di produzione e consumo. Lo riporta l’Ispra nell’ultimo rapporto rifiuti urbani, che conferma l’andamento positivo della raccolta differenziata e del riciclo, che nonostante il nuovo metodo di calcolo resta in linea con gli obiettivi europei, ma anche la necessità di imprimere un’accelerazione sulla riduzione dei conferimenti in discarica, che andranno dimezzati, così come sulla realizzazione di impianti di recupero di energia e di materia, necessari a tagliare turismo di rifiuti e spedizioni all’estero.
Con quasi 19 milioni di tonnellate e una media del 64%, riporta Ispra, siamo a un passo dall’obiettivo di legge del 65% di raccolta differenziata, che però avremmo dovuto centrare già dieci anni fa, nel 2012. “Un dato sicuramente positivo, ma siamo ancora sotto al target, sebbene di un solo punto percentuale” commenta il vice ministro dell’Ambiente Vannia Gava. Nove le regioni che hanno già superato il target, con in testa Veneto (76,2%) e Sardegna (74,9%). Si riduce ulteriormente anche la forbice tra le regioni del Nord e quelle del Centro-Sud: la Basilicata con un aumento di 6 punti rispetto al 2020 raggiunge il 62,7%, mentre la Sicilia, pur restando acora al di sotto del 50% (46,9%) fa segnare tuttavia un progresso importante di + 4,7 punti rispetto alla percentuale del 2020. I rifiuti organici si confermano la frazione più raccolta in Italia, oltre 7 milioni di tonnellate pari al 39% del totale differenziato, seguiti da carta e cartone, vetro e plastica.
Complessivamente, utilizzando il nuovo e più rigido metodo di calcolo stabilito dall’UE, nel 2021 la percentuale di riciclo si è attestata al 48,1%, in linea con l’obiettivo UE del 55% al 2025, ma per garantire il raggiungimento del 60% al 2030 e del 65% al 2035 la quota di rifiuti da avviare a recupero di materia “dovrà essere notevolmente incrementata” si legge nel rapporto. Resta infatti “un gap consistente con la percentuale di raccolta differenziata – spiega Valeria Frittelloni, direttore del dipartimento per la sostenibilità ambientale di Ispra – cosa che dipende da due elementi: da un lato le nostre raccolte richiedono una maggiore qualità, visto che le nuove metodologie di calcolo sono più restrittive, e dall’altro lato pesa il fatto che abbiamo un decreto sulle raccolte differenziate non più allineato alla direttiva europea, perché include anche rifiuti che vengono raccolti come urbani ma conteggiati come speciali una volta avviati a riciclo”.
Il passaggio al nuovo metodo di calcolo non ha messo in discussione il primato dell’Italia sul fronte del riciclo degli imballaggi, confermando il raggiungimento e superamento di tutti gli obiettivi specifici al 2025 per le varie frazioni a eccezione della plastica, che con il nuovo metodo si ferma al 47%. Per raggiungere il target del 50% al 2025, spiega Ispra, occorrerà stimolare lo sviluppo di tecnologie innovative come il riciclo chimico, capaci di valorizzare anche le frazioni più critiche dei rifiuti plastici e non a caso tra le soluzioni finanziate anche dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che ha messo sul piatto 2,1 miliardi di euro per il settore dei rifiuti e del riciclo proprio con l’obiettivo di “colmare il gap strutturale e dotare il nostro Paese di una impiantistica innovativa” ricorda Laura D’Aprile, capo dipartimento per lo sviluppo sostenibile del Ministero dell’Ambiente.
Un gap strutturale che riguarda soprattutto la frazione organica “alla quale è destinata la prima linea di finanziamento del PNRR per la quale abbiamo pubblicato le graduatorie definitive”, chiarisce. Secondo Ispra, ben 356 dei 657 impianti di gestione operativi sul territorio nazionale sono dedicati al compostaggio o alla digestione anaerobica dei rifiuti organici, ma sono distribuiti in prevalenza (349) nelle regioni settentrionali. Uno squilibrio che si riflette anche nell’andamento delle quantità di organico avviate a recupero, cresciute di 190mila tonnellate (+2,9%) con aumenti in tutte le aree del Paese ma con differenze profonde tra Nord (123mila tonnellate), Centro (33mila tonnellate) e Sud (34mila tonnellate). “Parte dei rifiuti raccolti al Centro e al Sud è trattata negli impianti del Nord – chiarisce Frittelloni – in particolare la quasi totalità dell’organico raccolto da Lazio e Campania“.
Se il riciclo aumenta, seppur a velocità diverse tra Nord e resto del Paese, a calare invece è lo smaltimento in discarica: 5,6 milioni di tonnellate, in diminuzione del 3,4% sull’anno precedente ma ancora pari al 19% del totale prodotto. Una quantità che nei prossimi anni andrà dimezzata per centrare l’obiettivo del 10% massimo fissato al 2035 dall’UE. Negli ultimi dieci anni, spiega Ispra, siamo già riusciti a tagliare i conferimenti del 52%, passando dagli iniziali 11,7 milioni di tonnellate a meno di 6, ma oggi la corsa dell’Italia sembra essersi fermata. “Il dato è preoccupante – osserva Valeria Frittelloni – perché negli ultimi quattro cinque anni è rimasto stabile. Ed è un dato collegato non solo all’andamento della raccolta differenziata, ma anche al fatto che sul nostro territorio abbiamo difficoltà di installazione di altri impianti, soprattutto quelli per l’incenerimento con recupero di energia”. Oltre a migliorare le performance di differenziata e riciclo, la corsa all’abbandono delle discariche rende insomma necessario il potenziamento della rete di termovalorizzatori, come rileva anche il Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti approvato a giugno dal Ministero dell’Ambiente, “un ottimo strumento per raggiungere l’obiettivo di riduzione della discarica” commenta il direttore generale di Ispra Maria Siclari.
Sul fronte inceneritori i 37 impianti operativi nel 2021 hanno assorbito 5,4 milioni di tonnellate, pari al 18,3% dei rifiuti prodotti e in aumento dell’1,6% sull’anno precedente. Oltre a essere quasi tutti al Nord (20 solo in Lombardia ed Emilia-Romagna), però, non sono bastati a soddisfare l’intera domanda di trattamento a livello nazionale. Tant’è che delle 659mila tonnellate di rifiuti esportate in altre nazioni, e provenienti anche in questo caso soprattutto da Lazio e Campania, oltre la metà è rappresentata proprio da scarti avviati a recupero energetico: residui del trattamento meccanico dei rifiuti (26,3% del totale esportato) destinati in Spagna, Portogallo e Germania, e combustibile solido secondario (23,9%), destinato all’isola di Cipro, in Portogallo, in Austria e in Grecia. Appena un terzo invece i volumi di rifiuti importati, pari a 219mila tonnellate, destinate prevalentemente a impianti di riciclo: il vetro (29,3%) in Lombardia, la plastica (13%) in Piemonte e Lombardia mentre gli abiti usati (14,3%) finiscono soprattutto in Campania e Toscana.
L’insufficiente dotazione di impianti, siano essi di riciclo o recupero energetico, si riverbera anche sulla spesa sostenuta dai Comuni per gestire i propri rifiuti urbani, che nelle aree meno infrastrutturate è appesantita dai costi crescenti del trasporto e dell’intermediazione. Non deve stupire quindi che a fronte di un costo medio nazionale annuo pro capite pari a 194,5 euro per ogni abitante, in aumento di 8,9 euro sul 2020, il Centro abbia fatto registrare una spesa media di 230,7 euro, seguito dal Sud con 202,3 euro e dal Nord, dove anche grazie alla maggiore disponibilità di impianti nel 2021 ogni cittadino ha speso appena 174,6 euro. “Occorre tagliare la quota di trasporti e migrazioni di rifiuti – commenta il presidente della commissione Ambiente della Camera Mauro Rotelli – che ha un costo assolutamente non più accettabile, e che porta differenze di tariffe e impatti ambientali”.