Nuove componenti nelle tariffe d’ingresso agli impianti di trattamento dei rifiuti per incentivare chi recupera e penalizzare lo smaltimento in discarica. La proposta di Arera per il nuovo periodo regolatorio 2022-2025
Un ‘restyling’ delle tariffe per gli impianti di trattamento dei rifiuti urbani, con un nuovo sistema di incentivi per supportare il raggiungimento dei target di legge sull’economia circolare e contribuire a colmare il gap infrastrutturale tra Nord e Sud del Paese. Lo annuncia Arera nel documento aperto alla consultazione degli stakeholder (che potranno formulare osservazioni entro l’11 giugno) con i primi orientamenti per l’aggiornamento del metodo tariffario unico in vista del secondo periodo regolatorio, dal 2022 al 2025. Per il primo, ormai al termine, il bilancio è decisamente in chiaroscuro visto che l’obiettivo di standardizzare la determinazione delle tariffe comunali sui rifiuti correlandole ai costi efficienti del servizio, indicati nei Piani economico finanziari, risulta raggiunto solo in parte.
“La prima disciplina varata dall’Autorità – si legge – è stata adottata nell’ottobre del 2019, in un contesto nel quale se ne prevedeva l’applicazione entro il primo quadrimestre dell’anno successivo. La pandemia da COVID-19 ha portato a un repentino cambio di scenario”. Tant’è che a tutto il 2020 risultano solo 83 gli ambiti tariffari definiti in virtù del cosiddetto MTR1, per un equivalente di circa 6 milioni di abitanti, appena il 10% della popolazione nazionale (dati addirittura più ingenerosi di quelli diffusi nei giorni scorsi da Confcommercio, che stimava un 21% di Comuni in linea con il MTR1). Una falsa partenza che Arera vuole lasciarsi alle spalle, contribuendo, si legge, “alla definizione di un quadro generale di regole stabile e certo, che sia ritenuto efficace e credibile dai vari attori presenti nel settore, tenuto conto delle risultanze emerse nel primo periodo, degli obiettivi e degli strumenti fissati nel PNRR, nonché delle rilevanti novità portate dall’avvenuto recepimento del ‘Pacchetto sull’Economia Circolare’“.
E sono proprio i nuovi obiettivi europei introdotti sul finire del 2020 che il regolatore punta a mettere al centro del metodo tariffario aggiornato per il nuovo quadriennio: 65% di riciclo e 10% di smaltimento in discarica al 2035 che, scrive Arera, “si devono necessariamente accompagnare al superamento della grave carenza infrastrutturale del comparto del trattamento e del recupero che caratterizza il nostro Paese”, con particolare riferimento alle frazioni indifferenziate e all’organico da raccolta differenziata. Uno sbilanciamento tra domanda e offerta di trattamento rispetto al quale, ricorda Arera, già nel 2016 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato aveva sottolineato la necessità di una regolazione tariffaria per “mantenere sotto controllo il rischio di esercizio di potere di mercato sulla parte di domanda eccedente rispetto alla capacità impiantistica locale, nonché a scoraggiare lo smaltimento in discarica”. Per questo motivo, nelle more della realizzazione dei nuovi impianti anche grazie ai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza e all’adozione del Programma nazionale di gestione dei rifiuti, Arera propone una revisione delle tariffe all’ingresso degli impianti “di chiusura” – ovvero di digestione anaerobica o compostaggio, inceneritori e discariche – con un sistema di incentivi e disincentivi modulato su vari parametri: come la natura del gestore, integrata o meno, o quella degli impianti, distinti in “minimi” ovvero essenziali ai fini della chiusura del ciclo e “aggiuntivi”.
Il metodo proposto da Arera prevede per il gestore integrato, ovvero per i soggetti industriali responsabili dell’intero ciclo – dalla raccolta al trattamento, allo smaltimento – una “regolazione tariffaria tout court” basata sui costi operativi e d’uso del capitale, da integrare con un meccanismo di incentivazione (tramite perequazione) in funzione della collocazione del trattamento lungo la gerarchia dei rifiuti. In sostanza il gestore sarà premiato se gestisce impianti di recupero, penalizzato se gestisce impianti di smaltimento. A questo fine l’Autorità prevede l’introduzione di una apposita componente ambientale in tariffa “positiva (o negativa), che il gestore integrato dovrà versare (o ricevere) alla (dalla) Cassa per i servizi energetici e ambientali (CSEA), per ciascun impianto di trattamento I-esimo, in ragione delle esternalità negative (o positive) derivanti – secondo le valutazioni di impatto ambientale sottostanti alla menzionata gerarchia individuata dalle norme interne e comunitarie”.
Per i gestori non integrati, invece, la proposta di regolazione tariffaria è modulata in funzione della tipologia di impianto. Per quelli classificati come “minimi” è prevista in ogni caso una “regolazione tariffe/costi e perequazione”, con incentivi a favore di chi conferisce nella forma di apposite componenti tariffarie “a parziale compensazione dei corrispettivi dovuti per l’accesso agli impianti”: incentivi pieni se l’impianto è di digestione anaerobica o compostaggio, limitati nel caso in cui l’impianto sia di recupero energetico. Nel caso delle discariche, invece, è prevista l’introduzione di una ulteriore componente di costo in tariffa a titolo di disincentivo per chi conferisce, visto che attualmente i valori dell’ecotassa regionale, scrive Arera, “non sempre sembrano voler perseguire l’obiettivo di penalizzare adeguatamente e il ricorso a questa opzione di trattamento dei rifiuti, in particolare in quelle aree del Paese caratterizzate da una mancata dotazione di impianti di recupero di materia ed energia”. Per gli impianti aggiuntivi, invece, Arera non prevede l’applicazione di alcuna regolazione tariffaria ad eccezione dello smaltimento, per il quale è prevista comunque l’introduzione di una componente tariffaria disincentivante. In più su questi impianti l’Autorità eserciterà una funzione di controllo introducendo obblighi di trasparenza e comunicazione delle condizioni economiche d’ingresso.