Mentre il clamore degli scandali politico-giudiziari scema, senza comunque esaurirsi del tutto, il problema rifiuti della Capitale continua a restare irrisolto. Una crisi che non sta tanto nelle foto-denunce che arrivano dalle periferie, quanto nei numeri e nello scenario che proiettano sul futuro: il sistema Roma è in equilibrio precario.
Una condizione condivisa con tutta la Regione Lazio, ma è per evitare emergenze nel Comune di Roma Capitale che convergono gli sforzi di tutti. La scorsa settimana è toccato a Marco Lupo, direttore generale di Arpa Lazio, fare due conti: audito dalla Commissione Bicamerale d’Inchiesta sul Ciclo dei Rifiuti, Lupo ha illustrato come ad oggi il 70% dei rifiuti trattati negli impianti di trattamento meccanico e meccanico biologico sul territorio laziale vada a finire fuori regione (in Italia e all’estero). Più specificamente si tratta del 40% del combustibile per rifiuti, dell’80% degli scarti non recuperabili e del 90% della frazione organica stabilizzata.
Altro che autosufficienza, insomma: servono gli impianti (e non è una novità). Lo dice anche lo schema di decreto che ha resa attuativa la programmazione del Ministero dell’Ambiente per realizzare i nuovi termovalorizzatori: lo Sblocca Italia, insomma. Un nuovo inceneritore servirebbe anche al Lazio, ma Zingaretti si è affrettato a smentire l’ipotesi non appena il dpcm è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Un no che – manco a dirlo – è stato ribadito con forza dalla giunta pentastellata, ma con uno strascico che ha fatto discutere.
L’assessore all’ambiente, Paola Muraro, ha ammesso la lacuna impiantistica del territorio definendo «miope» la chiusura della discarica Malagrotta nel 2013 in quanto non accompagnata da una o più alternative di supporto. Definizione che ha scatenato ulteriori polemiche e dato nuova linfa alle accuse di vicinanza tra la stessa Muraro e il patron di Malagrotta, Manlio Cerroni, costringendo l’assessore ad aggiustare il tiro delle proprie dichiarazioni e mettere in chiaro che no, la discarica più grande d’Europa non riaprirà. Ma al netto delle polemiche c’è l’ammissione che a Roma una nuova discarica comunque serva. Dove? Presto per dirlo, chiarisce Muraro: «Per capire dove deve essere collocata dobbiamo capire la volumetria. Non si può indicare l’area se non si ha la volumetria, non è corretto dal punto di vista tecnico».
Del resto anche il piano del tanto criticato Fortini prevedeva, per rendere totalmente autonomo il ciclo rifiuti romano, la realizzazione di una piccola discarica di servizio a corredo del sistema degli ecodistretti. Ora che però alla guida della municipalizzata capitolina per l’igiene urbano AMA non c’è ancora nessuno, né tanto meno c’è un piano industriale in grado di dare una risposta strutturale alle criticità della gestione rifiuti, si procede per soluzioni tampone.
Nei giorni scorsi è stato rinnovato un accordo tra Lazio e Abruzzo per una quota di rifiuti pari a 170 tonnellate al giorno fino all’ottobre 2017: un quantitativo minimo, quello indirizzato verso la provincia dell’Aquila, se paragonato alle 3mila tonnellate trattate quotidianamente a Roma, ma pur sempre una boccata d’ossigeno per i Tmb capitolini che, ad oggi, non possono permettersi neppure il minimo “infortunio” e sui quali peserà ancora per un po’ pure la produzione extra legata agli ultimi mesi del Giubileo straordinario.
Assai più importante l’accordo annuale che dal 5 novembre prossimo dovrebbe portare 120mila tonnellate di rifiuti indifferenziati in Austria e Germania: sarebbe la prima volta che Roma porta oltreconfine i propri rifiuti. Il condizionale è d’obbligo, perché il consorzio Colari di Manlio Cerroni ha presentato istanza al Consiglio di Stato su questa ipotesi, sostenendo che si tratterebbe di un’indebita deroga al principio di prossimità messa in campo solo per boicottare i suoi impianti.
Per quanto riguarda il futuro pare che il nuovo assessore alle Partecipate, Massimo Colomban, stia valutando una rosa di nomi più corposa rispetto alla “shortlist” già redatta dalla stessa Muraro. Quando si giungerà ad una sintesi è difficile stabilirlo: ciò che è certo è che i tempi per vedere programmare (e ancor di più per innescare) un nuovo piano che chiuda il ciclo della Capitale si allungano ogni giorno di più.