Al via il dibattito pubblico sulla localizzazione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi. Vannia Gava: “Un’infrastruttura sicura e controllata che non deve spaventare”. Oggi le scorie sono stoccate in venti siti temporanei con costi crescenti a carico della collettività
Il dossier nucleare torna a catalizzare il dibattito nazionale. Mentre ancora infiamma la polemica sulle parole del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, che ha invitato a non escludere le tecnologie di nuova generazione dalla riflessione su decarbonizzazione e fonti energetiche alternative ai fossili, torna ad accendersi il confronto sull’altra faccia dell’atomo, quella delle scorie radioattive, e sul futuro Deposito Nazionale che l’Italia è chiamata a costruire per smaltirle in sicurezza. “Un’infrastruttura sicura e controllata, che porterà lavoro e sviluppo nel territorio che la ospiterà. Per questo non deve spaventare” spiega Vannia Gava, Sottosegretario di Stato al Ministero della Transizione Ecologica.
Dopo la pubblicazione della CNAPI, la Carta delle aree potenzialmente idonee ad ospitare la struttura, con 67 siti censiti in 7 Regioni, e la prevedibile levata di scudi di cittadini e istituzioni locali, la palla torna nelle mani della società di Stato Sogin, responsabile del progetto, che oggi ha ufficialmente dato il via al Seminario Nazionale. Un ciclo di incontri, sul modello del ‘dèbat public’ francese, per confrontarsi con i territori individuati nella CNAPI e fare luce sugli aspetti tecnici di maggior rilievo legati alla realizzazione del Deposito. Fine dei lavori prevista per il prossimo 15 dicembre, poi si passerà all’approvazione della CNAI, la Carta delle aree idonee, sulla quale nel 2022 si aprirà il dialogo con i territori finalizzato a raccogliere le eventuali manifestazioni d’interesse, vale a dire le autocandidature ad ospitare il Deposito. Solo nel caso in cui, esauriti tutti i tentativi di concertazione, le trattative non dovessero sfociare in un’intesa, a indicare la località sarà il Ministero della Transizione ecologica con proprio decreto.
“Stiamo dialogando con i territori per cercare insieme una possibile collocazione del Deposito Nazionale” commenta Emanuele Fontani, Amministratore Delegato di Sogin. La strada però è tutta in salita. Sono quasi mille i pareri e le osservazioni contrarie al Deposito fatti pervenire a Sogin da Regioni e Comuni, ma anche da associazioni e comitati di cittadini, nell’ambito della consultazione pubblica sulla CNAPI aperta da gennaio a luglio scorsi. A preoccupare sono soprattutto i potenziali contraccolpi sull’agricoltura e sui luoghi d’interesse culturale e turistico, ma gli esempi dei Paesi europei che hanno già realizzato strutture simili, su tutti Francia e Spagna, spiega Sogin, dimostrano che convivere con le scorie si può, anche nei contesti apparentemente meno adatti. “Il deposito spagnolo si trova nel parco naturale della Sierra Morena – spiega Fabio Chiaravalli, Direttore Deposito Nazionale e Parco Tecnologico di Sogin – tanto che mi è capitato più volte di vedervi pascolare cervi e caprioli. In Francia, invece, sia il deposito della Manche che quello dell’Aube sono in zone molto abitate attorno alle quali fervono le attività di fattorie e centri agricoli“. Compresi distretti di pregio, come quelli che circondano il ‘centre de stockage’ dell’Aube, nel cuore della regione Champagne-Ardenne, dove si coltivano le uve per la produzione delle bollicine più famose al mondo. “All’inizio l’85% della comunità era contraria al Deposito – ha dichiarato Philippe Dallemagne, Vice Presidente del Dipartimento de l’Aube e Sindaco di Soulaines-Dhuys. Temevamo rischi per la salute e danni all’economia. Il confronto e l’esperienza hanno fugato tutte le nostre paure. Il deposito nazionale è accolto dalla popolazione come il modo più sicuro per gestire i rifiuti radioattivi di un paese e un volano per lo sviluppo del territorio che lo accoglie”.
Del Deposito, vale la pena ricordare, c’è un disperato bisogno. E non soltanto perché ce lo chiede l’Europa. Anche se il referendum del 1987 ha staccato la spina alle nostre quattro centrali, infatti, di rifiuti radioattivi continuiamo a generarne ogni giorno. Oggi sul territorio nazionale ce ne sono circa 30mila metri cubi: la quota principale viene dallo smantellamento dei vecchi siti per la produzione di energia elettrica, ma una fetta importante è generata anche da attività mediche, industriali e di ricerca. Al momento li custodiamo in una ventina di siti provvisori da Nord a Sud del Paese, una soluzione non più sostenibile. “Uno stato di cose che comporta continui investimenti – spiega Maurizio Pernice, Direttore di ISIN – per mantenere il livello di sicurezza adeguato dei depositi esistenti oppure per realizzare quelli nuovi necessari a stoccare i rifiuti generati dal ‘decommissioning’ delle centrali e non bloccare il processo di smantellamento. Tutti oneri a carico della collettività. Il Deposito Nazionale ci consentirebbe di risparmiare o quanto meno di usare le stesse risorse in modo più proficuo”. “Dobbiamo mettere in sicurezza i rifiuti radioattivi stoccati nei depositi temporanei. Solo così – dice Emanuele Fontani – potremo raggiungere il ‘green field’ ovvero lo smantellamento definitivo delle ex centrali nucleari, garantendo al tempo stesso al Paese di poter continuare ad utilizzare in sicurezza sostanze radioattive”.
Senza dimenticare i 100 metri cubi di materiale ad alta attività, ciò che resta del vecchio combustibile utilizzato per la produzione elettrica nelle quattro centrali oggi in dismissione, attualmente stoccato in Francia ed Inghilterra e che dovrebbe rientrare in Italia entro il 2025 per essere sistemato nel Deposito Nazionale, in attesa di poter essere poi trasferito in un deposito geologico di profondità. Che al momento non c’è e che con ogni probabilità non verrà costruito in Italia. “Dobbiamo essere autosufficienti. Non possiamo dipendere anche da questo punto di vista dall’estero” commenta Gava. “La produzione di elettricità dal nucleare in Italia è terminata da oltre 30 anni ma il ciclo di gestione dei rifiuti non è stato completato fino allo smaltimento definitivo – osserva Massimo Garribba, Vice Direttore Generale Energia della Commissione Europea – oggi il quadro normativo europeo prevede gli strumenti per impedire che ciò accada per le future generazioni”.