Secondo il governo l’entrata in esercizio del deposito nazionale delle scorie radioattive non arriverà prima del 2030, e potrebbe slittare di ulteriori 12 mesi nel caso, piuttosto probabile, di una mancata intesa con le aree considerate idonee a ospitarlo. Destinate a non essere rispettate le intese internazionali con Francia e Inghilterra
Il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi non entrerà in funzione prima del 2030, e anzi l’avvio potrebbe slittare di un ulteriore anno visto che nessuno dei territori considerati idonei sembra al momento disposto a farsi avanti per ospitarlo. È stato il sottosegretario al Ministero dell’Ambiente Claudio Barbaro a chiarire i tempi di realizzazione dell’opera, rispondendo a un’interrogazione della deputata Chiara Braga e confermando la data di entrata in esercizio già stimata nei mesi scorsi da Sogin prima e da Isin poi. “Ipotizzando l’esito positivo di tutte le fasi procedurali, particolarmente complesse e dipendenti da un insieme di fattori – quale l’acquisizione di manifesto interesse ed autocandidatura da parte dei comuni incidenti nelle aree idonee ad ospitare il Deposito – e al netto di eventuali ricorsi, l’emissione del provvedimento di autorizzazione unica del DNPT potrebbe avvenire nel 2026 e la sua messa in esercizio nel 2030″ ha chiarito Barbaro. Ricordando però che nel caso in cui non si giungesse a un’intesa immediata sarebbe il governo a dover indicare la località “causando uno slittamento delle date di conclusione delle diverse fasi, fino a 12 mesi” e rinviando quindi al 2031 la data di avvio dell’infrastruttura. Slittamento più che probabile, vista la levata di scudi delle 67 aree fin qui indicate come potenzialmente idonee ad accogliere il deposito.
Una risposta, quella del sottosegretario Barbaro, che “evidenzia l’incertezza nei tempi di realizzazione del deposito nazionale per le scorie radioattive – ha replicato la deputata Chiara Braga – di cui l’Italia non dispone, a differenza di altri paesi europei, e da cui conseguono costi ingenti per il trasporto e il conferimento delle scorie”. Senza dimenticare che proprio a causa dell’incertezza sui tempi di realizzazione del deposito la Francia ha da tempo imposto lo stop al trasferimento di una parte delle nostre scorie ad alta attività. Ai sensi di accordi internazionali siglati dall’Italia nei primi anni 2000, infatti, le barre di combustibile che venivano utilizzate per generare energia elettrica nelle ex centrali sono infatti state trasferite per il 99% all’estero, in Inghilterra e Francia, per essere riprocessate. Vale a dire lavorate per separare le materie fissili come uranio e plutonio, che resteranno all’estero per essere riutilizzate nel ciclo nucleare, dai prodotti di fissione, le scorie vere e proprie. Quelle, invece, dovremo riprendercele, e gli accordi internazionali siglati con i due Paesi ci obbligano a farlo entro la fine del 2025. La risposta del governo fa però pensare che non riusciremo a tenere fede all’impegno, visto che entro quella data non sapremo ancora dove metterle. Per questo motivo la Francia ha interrotto il trasferimento del rimanente 1% di scorie. E per lo stesso motivo, con ogni probabilità, ci toccherà pagare salate sanzioni.
Intanto procede l’iter per la definizione della Carta Nazionale delle Aree Idonee (CNAI) a ospitare il deposito nazionale e l’annesso parco tecnologico. La proposta di CNAI è stata trasmessa al Ministero a marzo del 2022, ma i ritardi nel rilascio del parere vincolante da parte di Isin (l’Ispettorato per la sicurezza nucleare) e la necessità di acquisire ulteriori informazioni da parte di Sogin (la società di Stato responsabile della realizzazione e gestione del deposito) hanno fatto slittare l’approvazione definitiva della CNAI, senza la quale non potranno partire le trattative bilaterali con le regioni e gli enti locali delle aree idonee. L’ex ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani aveva indicato nel 31 dicembre del 2023 la data entro la quale sarebbe stato individuato il sito definitivo, ma è molto probabile che anche questa scadenza sia destinata a slittare. Nel frattempo le scorie stoccate sul territorio nazionale, distribuite in ventisei depositi temporanei, continuano ad aumentare. A fine 2021, secondo Isin, avevano raggiunto i 31mila 812 metri cubi, 60,9 in più rispetto all’anno precedente.