Secondo il Consorzio Italiano Compostatori la raccolta differenziata dell’organico ha smesso di crescere, mentre aumentano le frazioni estranee e anche gli impianti di trattamento. Mettendo a rischio la sostenibilità economica del settore. Miccolis: “Direzionare correttamente gli investimenti”
Crescita zero delle raccolte differenziate, che peggiorano per qualità. e impianti di trattamento che invece proliferano. Una combinazione pericolosa per il settore del biowaste italiano, comparto di punta della bioeconomia circolare nazionale minacciato da “una serie di criticità che devono essere affrontate con urgenza”, chiarisce Lella Miccolis, presidente del Consorzio Italiano Compostatori, che ha messo in fila i numeri di settore in un’analisi dai toni in chiaroscuro. Nel 2022, rileva il centro studi del CIC sulla base dei dati ISPRA, sono state raccolte 7,25 milioni di tonnellate di rifiuto organico, tra umido e verde, che arrivano a 8,35 milioni considerando anche fanghi da depurazione e scarti dell’agroindustria. Dal loro trattamento nei 357 impianti autorizzati sono stati prodotti circa 1,9 milioni di tonnellate di compost e 409 milioni di metri cubi di biogas, valorizzati mediante la produzione di circa 411 GWh di energia elettrica, 169 GWh di energia termica e 167 milioni di metri cubi di biometano. “Quello del biowaste si conferma un settore fondamentale per l’economia del Paese e nella lotta alla crisi climatica”, spiega Miccolis.
Fin qui le luci. La prima ombra, spiega però il CIC, è quella proiettata dai numeri della raccolta differenziata, che tra 2021 e 2022 ha perso 4mila 400 tonnellate di umido in valore assoluto. Un calo “dovuto in parte agli strascichi delle anomalie generate dalla pandemia da Covid-19 e in parte al calo della popolazione residente in Italia”, chiarisce Miccolis. Ma il vero campanello d’allarme è quello del tasso di intercettazione per abitante, aumentato solo di 0,1 kg. Al di là delle statistiche, significa che la differenziata è sostanzialmente ferma, mentre restano oltre 5 i milioni di cittadini residenti in comuni che presentano ancora ampi margini di miglioramento e addirittura 675 comuni in cui non risulta essere stata attivata la raccolta differenziata, sebbene questa sia diventata obbligatoria dal 1 gennaio del 2022. Considerando l’andamento complessivo della popolazione residente, secondo le stime del Centro Studi CIC, in uno scenario verosimile, la potenzialità massima di raccolta di rifiuto organico (umido e verde) raggiungibile dall’Italia nel medio periodo è di 8,2 milioni di tonnellate l’anno, con una crescita di 800mila tonnellate, di cui circa 6,5 milioni di tonnellate l’anno solo di frazione umida. Numeri che, sottolinea il CIC, impongono una seria riflessione sulla capacità impiantistica, che sta aumentando a un ritmo di gran lunga superiore a quello della raccolta.
Secondo lo studio, infatti, gli impianti attualmente autorizzati nel 2022 hanno messo insieme una capacità di circa 12 milioni di tonnellate l’anno di rifiuti a matrice organica, oltre 750mila in più del 2021. A oggi l’autosufficienza impiantistica è garantita a livello nazionale e macro regionale, chiarisce il CIC, ma nuovi impianti sono già in cantiere, spinti dagli incentivi al biometano e dai fondi PNRR destinati ai comuni. Il rischio è quello di creare una sovra capacità di trattamento in alcune aree del paese, soprattutto a Nord, con ripercussioni sulla sostenibilità economica degli impianti, e in particolar modo di quelli non incentivati, tipicamente i siti di solo compostaggio. Ecco perché, chiarisce Miccolis, occorre “direzionare correttamente gli investimenti nel settore per arginare gli effetti di una sovra capacità impiantistica“. Un messaggio rivolto soprattutto al Ministero dell’Ambiente, che con il Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti ha definito i criteri in base ai quali le Regioni dovranno colmare i propri fabbisogni di trattamento. Fabbisogni che il CIC chiede di valutare e misurare con grande attenzione.
Quello per il rischio di overcapacity però non è il solo allarme lanciato dagli operatori di filiera. Perché se la raccolta differenziata ristagna, diminuisce invece la qualità. Secondo le analisi del CIC, la purezza merceologica media della frazione umida raccolta è scesa dal 93,8% all’attuale 92,9%, con una percentuale di materiali impropri pari al 7,1% del materiale conferito. Più di due punti al di sopra del limite del 5% fissato dai Criteri Ambientali Minimi per i servizi di raccolta rifiuti, che prevedono “l’effettuazione di analisi merceologiche a carico della frazione umida e la messa in atto di azioni finalizzate a ridurre il contenuto di impurità merceologiche entro il 5%“, indicazioni tuttavia “fortemente disattese”, spiega il direttore del CIC Massimo Centemero. Secondo cui la qualità dell’organico sta peggiorando “anche a causa dell’utilizzo ancora elevato di sacchetti non compostabili nonostante il divieto“. Scarti che i gestori degli impianti smaltiscono a proprie spese, e che oltre a compromettere l’efficienza dei cicli di trattamento pesano su bilanci già in equilibrio precario.