L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato chiedeva al governo di ridefinire il perimetro della privativa comunale per limitare l’affidamento integrato delle attività di recupero e smaltimento dei rifiuti urbani, ma le misure contenute nel ddl concorrenza rappresentano “una risposta parziale”
Un “compromesso tra le proposte dell’Autorità e la situazione attuale”. Ovvero tra le posizioni ‘pro mercato’ dell’antitrust e le resistenze di Comuni e utility. Così l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato giudica l’intervento del governo in materia di affidamento del servizio pubblico di gestione dei rifiuti urbani contenuto nel disegno di legge sulla concorrenza in esame al Senato. “Alle criticità sollevate dall’Autorità in merito al perimetro delle gare per l’individuazione del gestore monopolista della raccolta – ha spiegato il capo di gabinetto Maria Tuccillo, audita in commissione Industria – e in particolare sull’inclusione di alcune fasi di trattamento e smaltimento che potrebbero essere svolte dal mercato, è stata data una risposta parziale“. Prevedendo cioè l’attribuzione all’autorità di regolazione Arera del compito di definire standard tecnici e qualitativi per lo svolgimento dell’attività di smaltimento e di recupero e di verificare i livelli minimi e la copertura dei costi efficienti da parte degli operatori. Una misura che “per quanto possa avere un valore simbolico rispetto a situazioni d’impresa largamente al di sotto degli standard fissati dal regolatore, non basta” ha spiegato Tuccillo. Per l’antitrust, infatti, l’affidamento stesso delle attività di recupero e smaltimento a gestori integrati andrebbe subordinato al rispetto degli standard fissati dal regolatore.
Non è un mistero che sul fronte dei rifiuti urbani l’antitrust auspicasse un intervento più incisivo. Nel documento con le segnalazioni per la redazione della legge sulla concorrenza, consegnato quasi un anno fa al governo, l’AGCM era infatti tornata a censurare, dopo averlo già fatto nel 2016, l’improprio utilizzo della nozione di gestione integrata del servizio, sottolineando come le attività di smaltimento, recupero e riciclo vengano “spesso ricomprese nella privativa – si legge nella memoria – senza verificare l’effettiva sussistenza di un rischio di fallimento di mercato” mentre invece la loro inclusione nel perimetro del servizio pubblico andrebbe limitata, o subordinata a determinate condizioni, procedendo all’affidamento tramite procedure concorrenziali. Un’ipotesi che però, ha spiegato Tuccillo “ha trovato molte voci contrarie soprattutto nell’associazione dei Comuni italiani (ANCI, ndr) e in quella delle imprese che erogano servizi di pubblica utilità (Utilitalia, ndr)”, tipicamente ‘integrate’ nelle varie fasi del ciclo. Il governo ha quindi optato per una soluzione più moderata, attribuendo ad Arera il compito di monitorare la qualità e i costi delle operazioni di recupero e smaltimento e di fornire segnali rispetto all’efficienza o meno delle attività svolte dai soggetti incaricati del servizio tali da orientare i futuri affidamenti.
Una risposta giudicata appunto “parziale”, che andrebbe migliorata potenziando “la previsione relativa ai poteri di monitoraggio sui singoli livelli di efficienza attribuiti ad Arera – ha osservato Tuccillo – rendendo noti ‘ex ante’ i differenziali tra i livelli di efficienza standard delle varie fasi di trattamento e smaltimento e quelli delle imprese integrate verticalmente”. Nell’ambito della più ampia riforma di settore prevista all’articolo 6 del ddl concorrenza (come parte della revisione della disciplina di legge sui servizi pubblici), “la norma in materia di rifiuti dovrebbe essere integrata specificando che la stazione appaltante che volesse procedere all’affidamento competitivo di un servizio integrato potrebbe farlo, ma prevedendo come requisito di partecipazione di imprese integrate la certificazione di avere i costi per lo svolgimento di quelle frasi uguali o inferiori alle soglie definite dal regolatore“.